Le vicende che hanno colpito la nostra città negli ultimi mesi non sono solo una terribile pagina di cronaca giudiziaria ma ci mostrano la presenza di una ferita molto profonda nella nostra stessa società. Nel cercare una chiave di lettura a queste vicende abbiamo notato che, insieme ad altre vicende simili che hanno colpito altri territori, esse sono caratterizzate da una completa assenza di moralità.
Giusto o legale? Moralità significa “scala di valori”. Significa che c’è qualcosa di più elevato, rispetto ai bisogni primari che guidano un uomo nella sua azione quotidiana, che gli fanno dire dei sì e dei no. Ci piacerebbe porre la domanda – giusto o legale? – a chiunque legga queste parole: in base a cosa scegli? Convenienza? Paura? Giustizia? Amore?
Il nostro mondo passerà alla storia come il mondo nel quale la società ha rischiato di disgregarsi – o si è completamente disgregata – nell’apoteosi dell’individualismo che per forza di cose elimina ogni valore che non faccia riferimento all’Io. Non può esserci giustizia se esiste solo la giustizia per me. Non può esistere felicità se esiste solo la felicità individuale. Non può esistere amore se esiste solo l’egoismo.
A Legnano l’amministrazione Fratus ha mostrato di non avere nulla che la guidasse nel suo operato se non il soddisfacimento di una sete personale di potere. Non c’è da stupirsi che quando i protagonisti dei fatti di questi mesi sono stati chiamati in causa hanno risposto parandosi dietro alla parola “legale”. Non è illegale ritirare le dimissioni. Non è illegale andare avanti con un consiglio dimezzato e fare sedute che durano 15 minuti. Non è illegale fare finta di nulla e utilizzare ogni mezzo per potere tenere la posizione ottenuta.
Non è illegale ma sicuramente non è giusto. Non è illegale ma sicuramente non è buona politica. La legge non ci dice cosa è giusto e cosa è sbagliato. La legge ci dice cosa è legale. Per sapere dove sta il buono o il giusto si deve guardare dentro se stessi, sperando di trovare qualcosa.
Perché o per chi? Non serve ricordare cosa è successo il 16 maggio 2019, in questa città. Ne abbiamo parlato fin troppo, forse. Forse ne abbiamo abbastanza delle prime pagine, dei servizi in apertura ai telegiornali nazionali, dei programmi d’inchiesta in prima serata. Forse siamo anche infastiditi che l’attenzione sulla “città del carroccio” si sia sollevata solo davanti a un fatto eclatante come un arresto (pardon, tre!), mentre altri abusi si consumavano da mesi in un silenzio carico di imbarazzo e, contemporaneamente, sfrontatezza.
Il primo è un abuso nascosto, sussurrato, di cui vergognarsi – se fosse vero – e ancora avvolto nel dubbio che mostra un “certo modo di fare politica”: interessato, disonesto, torbido.
Il secondo abuso, al contrario, si consuma alla luce del sole ed è documentato in diretta. Parliamo della condotta del sindaco e della giunta, con l’aiuto del difensore civico e il silenzio del prefetto, che di fronte a un forte atto di sfiducia da parte del Consiglio comunale, si affrettano a trovare una scorciatoia per continuare ad amministrare il comune senza la fiducia dei consiglieri.
“Ma perché?”, viene da chiedersi di fronte a questo accanimento, sfacciatamente inconcludente. Noi non abbiamo una risposta, sfidiamo chiunque a trovarla senza pensare a una buona dose di malafede. Forse, però, dovremmo iniziare a cambiare la domanda.
Forse la domanda giusta che dovrebbe guidare la nostra politica – i nostri politici – non è “perché?”, ma “per chi?”. Per non perdere di vista il concetto, a tratti banale, di una politica che è innanzitutto servizio, cura di una comunità, mediazione degli interessi che la compongono.
Una politica di questo tipo non può non accorgersi del disagio di una città che non si riconosce più nei suoi rappresentanti, che chiede loro di farsi da parte, e non può negarle la dignità di essere ascoltata e rispettata.
Una politica di questo tipo non può non notare di aver esagerato nell’uso del suo potere, di averlo piegato a scopi estranei alla sua vocazione di servizio: di averne, insomma, abusato.
Abbiamo un gran bisogno di una politica di questo tipo. E la politica come servizio ha bisogno di nutrirsi di tutti gli strumenti della politica di professione: esperienza, studio, responsabilità. Altrimenti resta un ingenuo moto estemporaneo di generosità.
Aurora De Lea e Giacomo Pigni