L’associazione Polis ha chiesto a Franco Monaco una riflessione sul tempo che stiamo attraversando e sulle prospettive che ci attendono per il futuro. Da Franco, da sempre vicino alla nostra associazione, abbiamo ricevuto una testimonianza, lucida e sofferta, carica di responsabilità e di speranza, che condividiamo attraverso gli strumenti della comunicazione digitale. Ho esitazioni a scrivere. Sento ogni parola inadeguata, di fronte alle proporzioni del dramma che ci ha investito. Una “tempesta furiosa”, secondo la metafora di Papa Francesco che, in una preghiera dal tenore biblico, in mondovisione, davanti a una piazza San Pietro deserta (un deserto evocativo della condizione del nostro animo), si è spinto sino a chiedere a Dio di svegliarsi (e a noi di convertirci). Al modo degli antichi profeti. Noi possiamo solo balbettare. Abbiamo incassato un ceffone sconvolgente per le nostre sicurezze: non siamo invincibili, padroni della vita e della civiltà; misuriamo la nostra vulnerabilità, la nostra precarietà personale e collettiva. Circolano letture complottiste. Quella di un virus coltivato in laboratorio da qualche mente malata o commissionato da qualche lobby mondiale mossa da interessi economici o geopolitici. La sola lettura complottista che mi convince è che la natura è madre e matrigna. È sorgente di vita ma anche di malattia e di morte. E noi, nella nostra ottusa presunzione di uomini moderni, ce lo eravamo scordati. Smarriti, angosciati ci affacciamo su territori incogniti, su un futuro oscuro e incerto. Ciascuno di noi deve interrogarsi in profondità circa il proprio rapporto con la vita e con la morte. Nel mentre ci lasciano amici, persone a noi care. Con lo strazio aggiuntivo di non poterle accompagnare neppure alla sepoltura. Oggi, dentro l’emergenza drammatica (lunga, quanto non sappiamo) siamo ammirati e profondamente grati a chi si spende e rischia la propria vita sul fronte sanitario e di quei servizi essenziali alla comunità. Ci sentiamo un po’ in colpa. Noi, disciplinatamente chiusi in casa, patiamo l’imbarazzo di non potere essere utili se non appunto rispettando la regola di starcene appartati. Dunque, privilegiati. Cambierà il mondo, cambierà l’Italia; cambieranno economia, società, politica. Su figli e nipoti ricadrà il compito immane di una ricostruzione, di un nuovo inizio. Probabilmente simile a quello cui ha atteso la generazione dei nostri nonni e che è stato risparmiato a noi che solo ne abbiamo beneficiato. La politica, mi si chiede. A ben vedere, anche chi per essa nutre interesse e passione, in questo tempo sospeso, ne misura il carattere relativo e subordinato ad altre e più importanti dimensioni della vita. Certo, si discute circa la gestione politica dell’emergenza. Circa i rapporti tra le istituzioni, tra Stato e regioni, tra maggioranza e opposizioni. Ci sta. Vi saranno stati errori e ritardi. Ma come non considerare...
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