«Propaganda e promesse. Ma ora governino» Un giudizio – inevitabilmente di parte – sul primo Bilancio di previsione della nuova Amministrazione. L’ex vicesindaco, dopo un esame ai raggi X dei conti del Comune, segnala cosa funziona e cosa non va. «C’è una contraddizione di fondo fra l’eccesso di promesse elettorali e gli spazi finanziari necessari per rispettarle». Dubbi su biblioteca, tasse e lievitazione della spesa Il Consiglio comunale di Legnano ha approvato, a inizio marzo, il primo Bilancio di previsione della Giunta Fratus. I media locali ne hanno illustrato i contenuti. Ora abbiamo posto alcune domande a chi di numeri s’intende: Pier Antonio Luminari, vicesindaco e assessore al Bilancio della passata Giunta Centinaio. Può fornire un giudizio sintetico sul primo Bilancio preventivo del sindaco Fratus? Se avessi dato ascolto solo alla voce della propaganda dell’attuale maggioranza, ispirata da una volontà costantemente autocelebrativa e da una contrapposizione viscerale alle politiche e ai bilanci della passata maggioranza, il giudizio sarebbe stato pregiudizialmente negativo. Invece, dopo avere letto con attenzione tutti gli atti del bilancio, il giudizio diviene più articolato, tanto da arrivare a condividerne una parte significativa. Mi riferisco alla sua struttura portante, che sembra copiata dai bilanci della passata maggioranza. Rimane comunque una parte residua che contiene scelte o indirizzi assolutamente non condivisibili. Cosa intende per “struttura portante” del bilancio? Mi riferisco alle parti relative a scelte di natura strategica, come gli obiettivi del triennio, i criteri di finanziamento della gestione corrente e degli investimenti, le priorità per gli investimenti, la quasi totalità del Piano triennale delle opere, dopo che sono state ridimensionate a studi di fattibilità le opere velleitarie della cittadella dello sport nella ex caserma e del polo culturale ed artistico nella ex Manifattura. Inoltre mi riferisco al ricorso all’avanzo e alle vituperate “alienazioni virtuali” per i nuovi investimenti del triennio, ai volumi di risorse finanziarie destinate agli investimenti, alla stragrande maggioranza degli obiettivi del Dup, ovvero il Documento unico di programmazione, nel triennio. Che cosa non condivide? Al di là delle buone intenzioni dichiarate, ritengo che ci sia una contraddizione di fondo fra l’eccesso di promesse elettorali e gli spazi finanziari necessari per rispettarle. La contraddizione riguarda le grandi opere, la riduzione delle tasse, il maggiore sostegno anche finanziario alle associazioni e il potenziamento di alcuni servizi. Il Bilancio cerca di uscire dalla contraddizione facendo una sfrontata marcia indietro sulle promesse! Tre delle grandi opere vengono ridimensionate a indefiniti studi di fattibilità, lasciando in vita solo l’agognata nuova biblioteca. La riduzione delle tasse viene ridimensionata e trasformata in una futura rimodulazione delle aliquote; cioè qualcuno pagherà di più per far pagare di meno a qualcun altro; il bello verrà quando i cittadini sapranno chi dovrà pagare di...
Posts made in aprile, 2018
I timori per la vittoria euroscettica Le elezioni hanno messo in luce – sottolinea Enzo Pezzini – un Paese più lontano dall’Europa. L’Ue è chiamata a rinnovarsi, ma ora s’intravvede il rischio di un isolamento di Roma rispetto al progetto comunitario. Lo studioso italiano che vive a Bruxelles valuta il nodo-immigrazione e il peso della crisi economica. Dopo il voto del 4 marzo l’Italia è sotto i riflettori europei. Le letture del voto che si sono avute in sede nazionale in genere non hanno trovato corrispondenza in quelle – piuttosto preoccupate – prodotte a Bruxelles, a Berlino o a Parigi. Ne parliamo con Enzo Pezzini, ricercatore associato del Centre de Recherche en Science Politique – Université Saint-Louis di Bruxelles, collaboratore scientifico dell’Université Catholique di Lovanio e docente alla facoltà di Scienze sociali ed economiche dell’Institut Catholique di Parigi. Visto dall’Europa, quali riflessioni alimenta il voto italiano? Il risultato le sembra in linea con altre elezioni svoltesi in Paesi Ue? Innanzitutto c’è molta sorpresa, per la dimensione dei risultati e perché si tratta di un primo caso nel quale un grande Paese fondatore dell’Unione vede uscire dalle urne una maggioranza “antisistema” ed euroscettica. Finora nelle elezioni degli altri grandi Paesi, in Francia o in Germania, pur in presenza di forze “antieuropeiste” o di estrema destra (anche consistenti) queste non avevano prevalso. C’è poi la difficoltà a “classificare” il Movimento Cinquestelle, rispetto agli altri partiti europei “potenzialmente assimilabili”. Infatti non si può paragonare al Front National francese (più vicino alla Lega), nemmeno a Ukip inglese (anche se siedono nello stesso gruppo al Parlamento europeo), né a Podemos spagnolo. In effetti c’è poi da constatare una persistente continuità, un’onda lunga che sta traversando l’Europa, lo abbiamo visto con il Brexit nel Regno Unito, la destra islamofoba di Geert Wilder in Olanda, la Polonia del partito Diritto e giustizia, l’Ungheria di Viktor Orban, la Repubblica Ceca di Milos Zeman, l’Austria di Sebastian Kurz e le turbolenze catalane, ma se allarghiamo lo sguardo oltre oceano possiamo vedere lo stesso nell’elezione di Trump negli Usa. È un fenomeno che deve far riflettere e osservo come anche il linguaggio è cambiato: si semplificano realtà oggettivamente complesse, si ricorre a slogan che fanno presa, si alimenta la paura più che la riflessione. Le cosiddette forze sovraniste ed eurocritiche, che stanno avendo buoni risultati in tutta Europa, ottengono dunque vasti consensi anche fra gli elettori italiani. Quali, a suo avviso, le ragioni? Ci sono molti fattori che hanno portato una maggioranza di elettori a questa situazione di risentimento nei confronti dell’Europa, dopo essere stata l’Italia da sempre uno dei Paesi più euroentusiasti. Possiamo identificare l’inizio di questa trasformazione negli anni ’90 con l’applicazione dei criteri di Maastricht, che...