I “Pattumeros” ignorano le regole di civiltà Un legnanese a spasso per la città scopre rifiuti abbandonati in spregio a ogni buona regola e al senso civico. “C’è molto da fare in tema di educazione ambientale”. Sempre più frequenti le discariche abusive lungo tutto il territorio dell’Alto Milanese, passando per il Roccolo e fino ad Abbiategrasso È la nuova moda, si chiama littering, dal verbo inglese to litter: disseminare rifiuti in strade, parchi, giardini, boschi pubblici. È praticata dai “Pattumeros”, orribile termine dialettal-spagnolo che rende in maniera semplice ed efficace i protagonisti di molteplici, incivili urbane (dis)avventure: individui che praticano lo stupro del patrimonio pubblico, insozzando aree e strade di città e di paesi, con ripercussioni notevoli, è evidente, sul degrado dell’ambiente comune. Per fortuna, sono talmente limitati, mentalmente, da lasciare spesso tracce evidenti delle loro malefatte, tali che le polizie locali possono in alcuni casi, ancora pochi purtroppo, individuarli e sanzionarli: lettere, fatture, scontrini fiscali, ricevute bancarie, sono spesso dimenticati all’interno di sacchi abbandonati con immondizie, detriti, resti di lavorazioni edili, scatoloni, pezzi di mobilia, parti di elettrodomestici arrugginiti, pacchi di corrispondenza e poi, quelli più pericolosi dal punto di vista ambientale, gli pneumatici usati. Quella dell’abbandono dei rifiuti nei luoghi più disparati è ormai un’emergenza diffusa. Che non risparmia Legnano. Sempre più persone preferiscono liberarsi dei rifiuti, domestici e non solo, abbandonandoli ovunque, anziché conferirli (si dice così) alle piattaforme di smaltimento. Ed è una piaga che non conosce confini territoriali e che si sta sempre più diffondendo. San Giorgio e Canegrate sono “specializzate” in ritrovamenti di cumuli di copertoni usati. A Busto Garolfo il malcostume dilaga e il Comune pensa di istituire delle sentinelle ecologiche, che vigilino sul territorio. A Castano Primo, nelle aree adiacenti la piattaforma ecologica, spesso si rinvengono vere e proprie discariche abusive. Ad Abbiategrasso, nelle aree ormai dismesse di aziende una volta operative, si accumulano svariati metri cubi di rifiuti. Nerviano ha addirittura un edificio “eletto” a discarica permanente: il cosiddetto “fungo”, un edificio destinato a diventare un albergo, ma mai completato. Il Parco del Roccolo, gioiello verde che si estende tra i Comuni di Parabiago, Busto Garolfo e Casorezzo, è ormai diventato una pattumiera a cielo aperto, “ricco” di ogni genere di immondizia. Servirebbero sbarre all’imbocco dei sentieri, pattuglie di “vigilantes”, controlli. Basterebbero a dissuadere i maleducati? Insomma, un’epidemia, anzi un’autentica pandemia. Ho provato ad accertarmene di persona. Nello scorso settembre, ho iniziato a frequentare un gruppo di cammino, ultima trovata, in ordine di tempo, per migliorare le condizioni di vita in compagnia di vecchi e nuovi amici. Camminare, dicono gli esperti, fa bene alla salute fisica e mentale; inoltre, i gruppi di cammino soddisfano un’esigenza primaria dell’essere umano: la socializzazione....
Posts made in agosto, 2016
Percorso accidentato nella storia d’Italia Nel 70° anniversario della Repubblica, il Comune ha proposta due serate pubbliche. Il 30 giugno al palazzo Leone da Perego si è parlato di voto alle donne e Costituzione. Hanno preso la parola i legnanesi Marta Cartabia, vice presidente della Corte costituzionale, e lo storico Giorgio Vecchio, del quale riportiamo l’intervento Alla Cittadina che chiede di poter votare al plebiscito per l’annessione al Regno di Sardegna, risponde il Cittadino: «Oh se oggi gli uomini cominciassero a concedervi questo, domani per una simile ragione vorreste avere il diritto di essere anche elettrici per l’assemblea costituente». Replica la Cittadina: «E perché no? Il suffragio non deve essere universale? Se escludete le donne cominciate intanto a ridurre a mezzo la vostra universalità». Il dialogo tra i due prosegue. Il Cittadino afferma: «Ma la universalità del suffragio s’intende riguardo a quelli che ne sono capaci». La Cittadina: «Per voi le donne sono incapaci quando si tratta di aversi le paghe, gli onori, il comando; ma sono capacissime quando si tratta di sostenere i pesi della società, di pagare le pubbliche imposte, e di assoggettarle a tutti gli obblighi prescritti dalle leggi civili e penali. Ove occorrano opere di carità, bisogno di tener vivo il patrio entusiasmo, le donne divengono angeli; angeli sono quando educano i figli al buon costume, alla religione, al sacro fuoco della patria. Perché un essere che con tante forze cospira al bene della nazione, deve poi escludersi dalle analoghe sue deliberazioni? Se le leggi devono obbligare anche le donne, devono essere fatte anche in loro concorso. Le bestie, che non hanno diritti, non hanno nemmeno doveri; e noi saremo a peggior condizione di quelle, cioè aggravate di obblighi senza poter godere diritti?». Il Cittadino: «Se ponessimo le donne in un consiglio legislativo, quanti inconvenienti mia cara! Il minore male sarebbe il perdere nelle sedute il nostro tempo in vani cicalecchi». *** Questo dialogo fu pubblicato il 27 maggio 1848 su il Caffè Pedrocchi, a Padova, e mostra bene come la questione del voto delle donne fosse argomento già all’ordine del giorno negli ambienti risorgimentali. La nostre patriote – potremmo chiamarle le nostre “nonne” della Patria per distinguerle dalle “madri” costituenti del 1946-1947 – coglievano con lucidità il nesso tra indipendenza, unità nazionale e uguaglianza tra uomo e donna. Inferiorità giuridica e politica della donna Provenienti dai più diversi ambienti – dai salotti milanesi Cristina Trivulzio di Belgioioso e Clara Maffei, e anche la legnanese adottiva Ester Cuttica; dalle classi alte meridionali Antonietta De Pace ed Enrichetta Di Lorenzo, dal popolo di Foligno Colomba Antonietti e da quello di Catania Giuseppa Bolognara Calcagno, (‘Peppa la cannoniera’), dalla borghesia imprenditrice romana la martire del 1867...
Il politico della parola, da De Gasperi alle Br Nuova biografia dello statista a cento anni dalla nascita. «La vicenda oscura del suo assassinio non oscura la sua biografia di statista». Fu “padre costituente”, ministro, premier, segretario della Dc e in questi impegni «applicò il suo peculiare metodo inclusivo di decisioni ponderate e consensuali» «Politico della parola se mai ce ne sia stato uno, si affacciò all’era della politica e della comunicazione di massa cercando di mantenere il suo schema logico e la sua volontà di convincere razionalmente il pubblico e l’elettorato»: è uno degli elementi della complessa figura di Aldo Moro di cui oggi, in tempi di chiacchiere a vuoto alimentate dai social, di populismi faciloni e di parole rimangiate, si avvertono al contempo la distanza temporale e la mancanza. Accusato di oscurità di linguaggio, era invece un oratore magari lento e non brillante, ma consequenziale e chiaro. È Guido Formigoni, docente di Storia contemporanea all’Università Iulm di Milano, socio fondatore di Polis, a descriverne la figura a cento anni dalla nascita nel volume Aldo Moro: lo statista e il suo dramma, di prossima uscita per Il Mulino. Moro era nato a Maglie il 24 settembre 1916. Nel 1945 sposa Eleonora Chiavarelli e il matrimonio sarà arricchito da quattro figli. Giurista, “padre costituente” eletto tra le fila della Dc, quindi parlamentare, più volte ministro, segretario della Dc nel cruciale periodo 1959-‘64 e per lungo tempo presidente del Consiglio dei ministri (1963-’68 e 1974-’76). Ne ricordiamo in particolare il sacrificio finale, con il rapimento (e la strage della scorta) del 16 marzo 1978 e la barbara uccisione per mano delle Brigate Rosse il 9 maggio dello stesso anno. In attesa di leggere la biografia dello statista che ha appena concluso, come descriverebbe anzitutto il giovane Moro? «Aldo Moro crebbe come giovane intellettuale cattolico – spiega Formigoni a Polis Legnano – dotato di una fede cristiana convinta e di una cultura giuridica in cui spiccava una inconsueta apertura verso la moderna dimensione statuale. Intendendo lo Stato come strumento di una società articolata, si impegnò nelle organizzazioni intellettuali laicali del mondo cattolico, fino a livelli dirigenziali, che sotto il fascismo erano in sostanza l’unico modo per arricchire e articolare quella società. Vi rimase legato anche nella primissima stagione dopo la caduta del regime fascista, mentre sviluppava un’attività giornalistica e in qualche modo di analista della politica, che mostrava vivo interesse e coinvolgimento umano verso la nascente democrazia. Costruiva intanto una professionalità di giurista e insegnante universitario. Entrò direttamente in politica attraverso l’elezione alla Costituente dopo l’approdo alla neonata Democrazia cristiana». Di Moro, allora giovanissimo, si segnala uno specifico contributo all’elaborazione della Costituzione. «Sì, Moro matura nell’esperienza di elaborazione della...
I Miano: le parole-chiave dell’Amoris laetitia Citazioni, articoli, incontri e trasmissioni. Amoris laetitia – l’esortazione apostolica con cui papa Francesco ha presentato alla chiesa e al mondo le riflessioni dei due Sinodi sulla famiglia convocati nel 2014 e nel 2015 – è entrata a pieno titolo nel dibattito pastorale e nella vita delle comunità cristiane del nostro paese e non solo. Eppure dal quel 9 aprile in cui il documento è stato presentato sono trascorsi poco più di tre mesi. Un periodo nel quale molte sono state le famiglie e i gruppi che hanno accolto l’appello di papa Francesco ad approfondirlo «pazientemente, una parte dopo l’altra» (come ha fatto anche la Chiesa di Legnano con un incontro pubblico a fine aprile). E spesso in queste occasioni i coniugi Giuseppina De Simone e Franco Miano, entrambi docenti di Filosofia, erano presenti, in virtù della loro partecipazione a entrambi i Sinodi e alla stesura dei documenti di sintesi più volte citati dal papa nell’esortazione. «Abbiamo toccato con mano l’attesa fortissima che si è creata attorno a questo testo – raccontano –. Un fatto certamente non scontato per un documento magisteriale. Nelle comunità si respira grande entusiasmo di fronte ad Amoris laetitia e all’iniezione di speranza che infonde in tutte le famiglie, qualsiasi sia la fase della loro storia che stanno attraversando. Certo, qualche preoccupazione non manca, come sempre quando è in gioco qualcosa di grande, un cambio di mentalità». Nell’esortazione c’è un approccio totalmente nuovo alla vita della famiglia, come si vede dalla descrizione dell’indissolubilità del matrimonio. «Certo, un’indissolubilità che non è un laccio che lega la persona e ne limita i progetti o le aspettative. Al contrario, si tratta di una grazia che si comprende giorno dopo giorno. Camminando insieme, scegliendosi a più riprese, come ripete papa Francesco, si scopre che è una meta raggiungibile per tutti attraverso la cura della gioia che porta l’amore. Non un peso dunque, ma un incredibile dono». Quali sono le parole chiave di questo documento? «“Crescere” e “camminare”. Sono parole – spiegano i coniugi Miano – che superano l’immagine edulcorata della famiglia e ne descrive la realtà con concretezza. Nell’invito finale che il papa rivolge proprio alle famiglie, “camminiamo famiglie, continuiamo a camminare” c’è proprio la prospettiva di una crescita, di una trasformazione della persona e del legame in virtù dell’amore. Nello stesso tempo Amoris laetitia sottolinea che ogni famiglia è abitata dalla presenza del Signore e in questo senso è sacra, anche e soprattutto in virtù delle difficoltà quotidiane. Una storia davanti alla quale occorre togliersi i calzari.» Il papa invita anche al “discernimento”… Anche per quanto riguarda le coppie in difficoltà e le famiglie separate. «Il discernimento è una categoria centrale non...