Quasi dieci anni da parroco dei Santi Martiri, preceduti da alcuni anni di servizio pastorale a San Domenico. Don Fabio Viscardi, parroco nell’Oltrestazione e decano di Legnano, è chiamato a trasferirsi a Cesano Maderno per un nuovo incarico pastorale. A Polis Legnano racconta i sentimenti di questi giorni.

Lasciare Legnano non sarà facile, vero? Lo ha detto lei stesso durante l’omelia nella quale annunciava il trasferimento a Cesano Maderno. Quali sentimenti la attraversano in questi giorni?

Anzitutto sentimenti e non risentimenti. Certo, c’è il dolore del distacco, ma non l’amarezza di chi lascia perché qualcosa è andato storto. Da questo punto di vista questi giorni sono un’occasione preziosa per un viaggio nell’interiorità, alla scoperta delle paure e dei sogni che abitano nel profondo di noi stessi. La richiesta del vescovo, mons. Mario Delpini, è giunta inaspettata, per cui all’inizio il colore prevalente è stato quello del dispiacere e del timore circa il futuro. Lasciare sicurezze consolidate e affrontare l’ignoto fa sempre un po’ paura. Pian piano però si fa strada il desiderio di ripartire, quasi la voglia di affrontare una nuova sfida. Cambiare è l’occasione per rinascere dentro.

Uno sguardo alla Chiesa cittadina e decanale legnanese. Se dovesse tratteggiarla con qualche aggettivo?

In una recente omelia parlavo di una chiesa ancora troppo “clericale”. Come se la tensione del post Concilio si fosse esaurita. Certo, il termine per me ha anche l’accezione bella di chi può e deve ringraziare la fraternità intessuta di stima condivisa con molti (bravi) preti della zona. Non nego però l’impressione che troppo dipenda dalla figura del sacerdote; e questo mentre sperimentiamo in termini lampanti la diminuzione e l’invecchiamento del clero. Non mancano laici formati e motivati; tuttavia vorrei uno scatto più deciso in questa direzione.

Un’occhiata alla città: com’è cambiata in questi anni? Quali problemi principali vi riscontra? Quali le risorse su cui costruire il futuro?

Lo dico a tutti; e non solo ora che sto cambiando residenza. Legnano è una città vivace, con tante potenzialità. Sicuramente vivibile e attrattiva; ricca di proposte aggregative (basti pensare al mondo del palio) e anche culturalmente stimolante. Due i fenomeni che ho visto più evidenti in questo decennio e che sono l’un l’altro intrecciati: l’invecchiare della popolazione e l’arrivo di un numero consistente di persone da altre parti del mondo. In questo senso la vera risorsa è quella di “credere” nel futuro. Diversamente ci si limita alla difesa un poco sterile di un benessere costruito dalla laboriosa inventiva delle generazioni passate. E oggi investire sul futuro chiede necessariamente il coraggio di scommettere su una convivenza civile che non sarà più quella del presunto bel tempo antico.

Il suo “sì” all’arcivescovo Delpini è stato immediato, senza indugi. Ora l’attende una grossa comunità a Cesano Maderno. In quali direzioni si sta muovendo – a suo avviso – la diocesi ambrosiana?

Mi sembra che alzare lo sguardo verso la “chiesa dalle genti” sia stato il vero gesto profetico con cui mons. Delpini ha aperto la stagione del suo episcopato. Ci sono molte resistenze al riguardo; sarà faticoso vincere il volano dell’inerzia, ma la direzione tracciata è indubbiamente quella giusta. Dentro questa prospettiva si colloca la scelta già indicata dai precedenti episcopati, ossia quella di puntare non più sui singoli campanili, ma sulla sinergia di parrocchie che lavorano insieme. A Cesano Maderno sarò responsabile di una Comunità pastorale in cui convergono tre realtà e dunque non a caso dedicata alla Ss. Trinità. Del resto questo è il futuro (prossimo) anche della chiesa legnanese, nell’articolazione di Centro, Oltre Sempione e Oltrestazione.

Una parola di saluto ai legnanesi?

Certo! Anzitutto la gratitudine di chi se ne va portando ricordi e non rimpianti. Questi condannano alla nostalgia di un tempo che non c’è più, i primi sostengono e incoraggiano passi verso il futuro. Poi un augurio: quello di essere una città viva e vivace, inclusiva e attrattiva, dove non si cammina con la testa rivolta al passato ma mossi dal desiderio di un futuro migliore per tutti.

 

Gianni Borsa