A colloquio con il presidente della Famiglia Legnanese, tra le realtà più longeve e importanti del territorio, che si propone come “casa della cultura di Legnano”. Innumerevoli le attività promosse che vanno oltre i confini urbani. Un appello: «abbiamo bisogno di giovani». Uno sguardo alla politica di domani La Famiglia Legnanese è una tra le associazioni legnanesi più longeve e importanti nel panorama culturale della nostra città. Motore di molte iniziative rilevanti e punto di riferimento di numerose associazioni di varia natura. In questa prospettiva la nostra rivista ha incontrato il presidente Gianfranco Bononi, ponendogli una serie di domande che vanno nella direzione di meglio comprendere questa realtà mettendo in luce aspetti positivi ed eventuali criticità. Oltre all’Associazione, della quale lei è il presidente, fanno parte della Famiglia Legnanese anche la Fondazione e l’Immobiliare. Può aiutare i nostri lettori a meglio inquadrare le origini e il ruolo di ciascuna di queste entità? L’Associazione Famiglia Legnanese nasce nel 1951, per iniziativa di un gruppo di amici che volevano creare uno spazio ideale dove mantenere viva la cultura, la tradizione e la civiltà della nostra città. Il primo passo di rilievo in questa direzione, si concretizzò già l’anno successivo, quando, in cooperazione con il Comune, la Famiglia Legnanese si adoperò per rilanciare e far rinascere il Palio di Legnano, tradizionale evento cittadino che, nato nel 1932, si era interrotto a causa della guerra. Negli anni successivi la Famiglia Legnanese si è poi grandemente impegnata per conservare e promuovere l’attività di quelle piccole associazioni culturali o di aggregazione sociale che, da sole, avrebbero rischiato di non farcela a sopravvivere (il gruppo filatelico, il circolo degli scacchi, il circolo fotografico, ecc.) nel principio che la Famiglia doveva essere il centro di aggregazione della cultura di Legnano. Nei primi anni della sua attività, l’associazione cambia sede diverse volte ed è solo nel 1978 che si trasferisce, con un contratto d’affitto, a Villa Juker. Due anni dopo, con il contributo di tutti gli imprenditori della città, la villa viene acquistata ed è oggi la sede permanente dell’Associazione. Ed è proprio per l’acquisto della villa che viene costituita l’Immobiliare Famiglia Legnanese. La Fondazione nasce invece più tardi, nel 1983. Sia l’Immobiliare che la Fondazione sono enti giuridici a sé stanti, tant’è che quest’ultima, nel suo consiglio di amministrazione, vede seduti solo 5 consiglieri in rappresentanza dell’Associazione mentre vi si trovano figure istituzionali della città (il Sindaco pro tempore; il Prevosto pro tempore e il presidente pro tempore della Banca di Legnano). Il ruolo della Fondazione, insomma, ha un carattere più istituzionale e si concretizza precipuamente nella raccolta fondi per l’erogazione di borse di studio agli studenti meritevoli del legnanese (diplomati e universitari). Alla Fondazione viene...
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Si anticipa l’editoriale del numero di Ottobre/Novembre della rivista associativa Polis Legnano. Se le previsioni dovessero avverarsi, i cittadini legnanesi sarebbero chiamati alle urne nella prossima primavera per eleggere il sindaco e rinnovare la composizione del Consiglio comunale. La città ha dovuto fare i conti, nei mesi scorsi, con episodi di malapolitica, sfociati in arresti eccellenti (Fratus, Cozzi, Lazzarini), diffusione di imbarazzanti intercettazioni telefoniche tra esponenti del centrodestra, e l’avvio di processi che probabilmente si trascineranno per mesi. Anche perché la Lega di Legnano, che non si rassegna a quanto accaduto, è arrivata persino a fare ricorso contro lo scioglimento del Consiglio chiamando in causa addirittura il Presidente della Repubblica Mattarella, il ministero degli Interni (peraltro a suo tempo occupato dal leader leghista Salvini), il Prefetto e il Comune di Legnano. La Lega – l’ira funesta della Lega legnanese – fa causa ai legnanesi. Proprio in vista delle elezioni si stanno muovendo liste civiche, nuove aggregazioni, partiti: è possibile che nascano inedite coalizioni. Questo è un bene. Legnano è precipitata in una situazione straordinaria, e ciò richiede una risposta straordinaria. Chi ha a cuore la città – a partire dalle persone più direttamente impegnate in politica, ma anche le forze sociali e ogni cittadino – dovrebbe cercare nuove sintesi politiche e programmatiche, fondate su valori condivisi, per provare a restituire a Legnano un’Amministrazione competente, coesa, credibile, lungimirante. Legnano è, fra l’altro, una città di dimensioni medie: con i suoi 60mila abitanti va ben oltre la dimensione del paese, dove ancora oggi nel momento elettorale si può contare sul fatto di conoscersi e riconoscersi tutti. La nostra è una città dove molte persone non conoscono i fatti locali, non tutti i cittadini seguono le cronache del territorio né sono al corrente delle vicende di Palazzo Malinverni. Molti residenti votano secondo le tendenze e i leader nazionali, siano essi Salvini o Zingaretti, Di Maio o Conte, Renzi o Meloni. Ciò significa che per affrontare le prossime elezioni la formula vincente non può che comprendere coalizioni in cui si incontrano partiti nazionali con liste civiche locali. Lo sa bene il centrodestra di Legnano che non ha alcuna intenzione di abbandonare – nonostante quanto accaduto – i simboli di Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia. Chi volesse contrastare il ritorno in Comune della coalizione che ruotava attorno a Fratus e Cozzi, dovrebbe quindi intraprendere un serio percorso, da costruirsi attorno a uno o più tavoli di lavoro, che richiede: una piattaforma di valori “alti” (riscontrabili – per intenderci – nella prima parte della Costituzione repubblicana); alcune irrinunciabili priorità di programma, che facciano intravvedere una idea di Legnano moderna, competitiva, aperta. Non è necessario che un programma amministrativo dettagli tutto il da farsi, soprattutto...
Dovevano essere le prime elezioni davvero europee, ma sono state interpretate ancora una volta con il filtro della politica italiana. Non credo siano in molti a sapere i nomi degli eletti al Parlamento europeo, in compenso, tutti sanno che il voto del 26 maggio ha invertito gli equilibri del Governo italiano e dato una boccata d’ossigeno al Partito democratico. Ma che cosa cambia dopo questa consultazione elettorale? Difficile dire che cosa accadrà al Governo, anche se appare sempre più chiaro come le leve di comando siano saldamente nelle mani di Matteo Salvini che, in poco più di un anno, ha invertito gli equilibri delle elezioni politiche di inizio 2018. Il voto di fine maggio ha incoronato il leader della Lega come azionista di maggioranza del Governo, anche se i seggi in Parlamento danno numeri saldamente a favore del Movimento 5 Stelle. L’agenda dell’esecutivo guidato da Giuseppe Conte è ormai dettata da Salvini con Di Maio nella scomoda posizione di dover rincorrere il collega su temi che non esattamente grillini. Non basterà certo la conferma on-line tramite piattaforma Rousseau a sottrarre il vicepremier alle critiche di chi tra i 5 Stelle lo accusa, non senza qualche fondamento, di aver dilapidato la straordinaria dote elettorale del 2018. Matteo Salvini, dal canto suo, si gode la vittoria europea e si può concedere il lusso di decidere la sorte del Governo. Ma non pare così semplice decidere il da farsi: andare subito al voto? Continuare nella formale applicazione del Contratto di governo? Rompere l’asse con Di Maio e tornare a governare con una coalizione di centrodestra? Tutte prospettive, in qualche modo, allettanti, ma non prive di rischi. All’orizzonte si profila, infatti, una Legge di stabilità che deve tenere in equilibrio un Bilancio messo a dura prova da Reddito di cittadinanza e Quota 100 e sterilizzare la clausola di salvaguardia che prevede l’aumento dell’Iva. La Commissione europea sta alla finestra e non pare intenzionata a chiudere un occhio, soprattutto di fronte alle intemerate di Salvini e Di Maio. In campagna elettorale è stato facile raccogliere voti promettendo di ribaltare l’Europa e di cambiare i vincoli comunitari, ma la realtà è molto diversa e parla di regole che vanno rispettate e non possono certo cambiare in pochi mesi. Nessuno pare intenzionato a prendersi la responsabilità di una manovra finanziare pesante per cittadini e imprese, al punto che più di un commentatore è pronto a scommettere su un possibile governo tecnico che porti il Paese ad elezioni nella prossima primavera. Nel frattempo, lo scontro di campagna elettorale tra Salvini e Di Maio pare essersi tramutato in un confronto politico istituzionale tra i due vice-premier e la coppia governativa Conte-Tria con i primi a spingere per...
Le vicende che hanno colpito la nostra città negli ultimi mesi non sono solo una terribile pagina di cronaca giudiziaria ma ci mostrano la presenza di una ferita molto profonda nella nostra stessa società. Nel cercare una chiave di lettura a queste vicende abbiamo notato che, insieme ad altre vicende simili che hanno colpito altri territori, esse sono caratterizzate da una completa assenza di moralità. Giusto o legale? Moralità significa “scala di valori”. Significa che c’è qualcosa di più elevato, rispetto ai bisogni primari che guidano un uomo nella sua azione quotidiana, che gli fanno dire dei sì e dei no. Ci piacerebbe porre la domanda – giusto o legale? – a chiunque legga queste parole: in base a cosa scegli? Convenienza? Paura? Giustizia? Amore? Il nostro mondo passerà alla storia come il mondo nel quale la società ha rischiato di disgregarsi – o si è completamente disgregata – nell’apoteosi dell’individualismo che per forza di cose elimina ogni valore che non faccia riferimento all’Io. Non può esserci giustizia se esiste solo la giustizia per me. Non può esistere felicità se esiste solo la felicità individuale. Non può esistere amore se esiste solo l’egoismo. A Legnano l’amministrazione Fratus ha mostrato di non avere nulla che la guidasse nel suo operato se non il soddisfacimento di una sete personale di potere. Non c’è da stupirsi che quando i protagonisti dei fatti di questi mesi sono stati chiamati in causa hanno risposto parandosi dietro alla parola “legale”. Non è illegale ritirare le dimissioni. Non è illegale andare avanti con un consiglio dimezzato e fare sedute che durano 15 minuti. Non è illegale fare finta di nulla e utilizzare ogni mezzo per potere tenere la posizione ottenuta. Non è illegale ma sicuramente non è giusto. Non è illegale ma sicuramente non è buona politica. La legge non ci dice cosa è giusto e cosa è sbagliato. La legge ci dice cosa è legale. Per sapere dove sta il buono o il giusto si deve guardare dentro se stessi, sperando di trovare qualcosa. Perché o per chi? Non serve ricordare cosa è successo il 16 maggio 2019, in questa città. Ne abbiamo parlato fin troppo, forse. Forse ne abbiamo abbastanza delle prime pagine, dei servizi in apertura ai telegiornali nazionali, dei programmi d’inchiesta in prima serata. Forse siamo anche infastiditi che l’attenzione sulla “città del carroccio” si sia sollevata solo davanti a un fatto eclatante come un arresto (pardon, tre!), mentre altri abusi si consumavano da mesi in un silenzio carico di imbarazzo e, contemporaneamente, sfrontatezza. Il primo è un abuso nascosto, sussurrato, di cui vergognarsi – se fosse vero – e ancora avvolto nel dubbio che mostra un “certo modo di fare...
Intervista con la priora della comunità carmelitana di Legnano, a 70 anni dalla sua fondazione. “Un monastero – spiega a Polis Legnano– esiste solo se è in relazione con la gente che gli vive intorno». Una presenza ecclesiale “silenziosa” e preziosa. «Gioia e fraternità sono la cifra della nostro modello di vita» Quando la vita ci riserva grandi sofferenze e tutto sembra perduto, ecco che spesso la speranza rinasce e fioriscono esperienze nuove che lasciano un segno. Così è avvenuto durante l’ultimo conflitto mondiale quando, durante un bombardamento su Milano, la famiglia di Margherita Negri fu praticamente distrutta. Dopo aver elaborato il drammatico lutto, Margherita volle realizzare il sogno della sua vita ovvero entrare nel monastero delle Carmelitane di Milano. Tuttavia, poiché il monastero non poteva più accogliere altre vocazioni, le fu chiesto di pazientare e di rimanere a Legnano presso la famiglia Mocchetti, suoi lontani parenti. Grazie all’intercessione della cugina Orsolina Mocchetti, la famiglia dei noti industriali legnanesi decise di donare il terreno al fine di realizzare un nuovo monastero a Legnano in località Canazza (oggi via del Carmelo). I lavori, grazie anche a numerose donazioni, iniziarono nel maggio del 1948 e si conclusero l’anno successivo, con l’apertura della nuova comunità religiosa che avvenne solennemente il 7 maggio 1949. Ricorre, dunque, quest’anno il 70° anniversario della fondazione del Carmelo di Legnano e in questa circostanza la nostra rivista ha voluto ricordare questa presenza così significativa per la città intervistando madre Giovanna, priora del monastero (attualmente le monache che formano la comunità sono 17). Ne emerge un quadro illuminante dal quale traspare nitido il ruolo e la missione di queste religiose, apparentemente isolate ed escluse, ma in realtà così presenti con la loro spiritualità e il loro esempio di vita. Il mondo è molto cambiato da quando il monastero è stato edificato e da quando le prime monache si sono raccolte al suo interno. Viviamo oggi in una dimensione di vita accelerata, dove molte coscienze si sono spente e l’individualismo ha preso il sopravvento. C’è ancora posto, in questo nuovo mondo, per una vita monastica di clausura? Quale significato riveste? Ciascuno nella vita si interroga e cerca di dare una risposta alla domanda “Chi sono?”, “Da dove vengo?”, “Dove vado?”. E chi sceglie una vita monastica come la nostra, e si offre al Signore, lo fa con il desiderio e la speranza che il Signore si serva di questa vita donata per farti arrivare dove da sola non saresti mai potuta arrivare, e testimoniare col tuo vivere quotidiano, semplice e fraterno, la possibilità e la gioia di vivere liberi dal giogo del potere, dell’avere e del possedere. Certo i tempi sono molto cambiati. Le persone che si...
Durante il lungo periodo dello Stato liberale, governato dai re Savoia, l’inno nazionale fu ovviamente la Marcia Reale, affiancata tuttavia – al tempo del regime fascista – dal canto di Giovinezza. Nelle manifestazioni o nelle scuole si usava cantare anche gli inni patriottici ereditati dalla tradizione del Risorgimento e dalla Grande Guerra: il cosiddetto Inno di Mameli,più propriamente Canto degli italiani o Inno di Novaro, visto che il testo, scritto da Goffredo Mameli nel settembre del 1847, fu musicato da Michele Novaro. Altri canti risorgimentali (l’Inno di Garibaldi), canti legati al ricordo della Grande Guerra (La leggenda del Piave, La canzone del Grappa), e ancora brani verdiani come il celeberrimo Va, pensiero,che parecchi nostri soldati intonarono nei convogli che li portavano verso i campi di prigionia della Germania dopo l’8 settembre 1943. Con la caduta della monarchia e la proclamazione della repubblica in seguito al referendum del 2 giugno 1946, si pose il problema di individuare simboli adeguati per il nuovo stato di cose: la decisione più facile fu quella di togliere dal Tricolore lo stemma di casa Savoia, mentre per l’inno nazionale si procedette in maniera alquanto confusa e pasticciata. Infatti, soltanto il 12 ottobre 1946 il Consiglio dei Ministri affrontò fugacemente il problema dell’inno e ne diede notizia in termini lapidari: «Su proposta del Ministro della Guerra si è stabilito che il giuramento delle Forze Armate alla Repubblica e al suo Capo si effettui il 4 novembre p.v. e che, provvisoriamente, si adotti come inno nazionale l’inno di Mameli». Per il momento poteva forse bastare. Il guaio è che, dopo quel giorno, non se ne parlò più e tutto rimase incerto, forse per confermare il detto secondo cui in Italia “nullo è più definitivo del provvisorio”. Per cominciare, nessun ministro si preoccupò di emanare una qualche circolare che formalizzasse la decisione presa, così che nelle settimane successive lo stesso ministero degli Esteri dovette chiedere lumi alla Presidenza del Consiglio sulla base delle notizie apparse sui giornali. L’incertezza e la confusione si perpetuarono e i quesiti si moltiplicarono. A più riprese si fece vivo il ministero della Difesa per sapere cosa si dovesse suonare in occasione dell’alzabandiera nelle caserme. Nel 1948 fu la volta del Coni, il cui presidente, il famoso Camillo Onesti, chiese quale inno si sarebbe dovuto suonare nella lieta circostanza di una vittoria italiana alle imminenti Olimpiadi di Londra. In tutti questi casi, invariabilmente, la Presidenza del Consiglio rispondeva che “provvisoriamente” si doveva eseguire l’inno di Mameli. In questo contesto non mancarono gli incidenti più o meno curiosi. Alle Olimpiadi di Melbourne del 1956, dopo la vittoria di Ercole Baldini nella prova ciclistica su strada, non si trovò il disco con l’inno italiano: ci pensarono...