I Miano: le parole-chiave dell’Amoris laetitia Citazioni, articoli, incontri e trasmissioni. Amoris laetitia – l’esortazione apostolica con cui papa Francesco ha presentato alla chiesa e al mondo le riflessioni dei due Sinodi sulla famiglia convocati nel 2014 e nel 2015 – è entrata a pieno titolo nel dibattito pastorale e nella vita delle comunità cristiane del nostro paese e non solo. Eppure dal quel 9 aprile in cui il documento è stato presentato sono trascorsi poco più di tre mesi. Un periodo nel quale molte sono state le famiglie e i gruppi che hanno accolto l’appello di papa Francesco ad approfondirlo «pazientemente, una parte dopo l’altra» (come ha fatto anche la Chiesa di Legnano con un incontro pubblico a fine aprile). E spesso in queste occasioni i coniugi Giuseppina De Simone e Franco Miano, entrambi docenti di Filosofia, erano presenti, in virtù della loro partecipazione a entrambi i Sinodi e alla stesura dei documenti di sintesi più volte citati dal papa nell’esortazione. «Abbiamo toccato con mano l’attesa fortissima che si è creata attorno a questo testo – raccontano –. Un fatto certamente non scontato per un documento magisteriale. Nelle comunità si respira grande entusiasmo di fronte ad Amoris laetitia e all’iniezione di speranza che infonde in tutte le famiglie, qualsiasi sia la fase della loro storia che stanno attraversando. Certo, qualche preoccupazione non manca, come sempre quando è in gioco qualcosa di grande, un cambio di mentalità». Nell’esortazione c’è un approccio totalmente nuovo alla vita della famiglia, come si vede dalla descrizione dell’indissolubilità del matrimonio. «Certo, un’indissolubilità che non è un laccio che lega la persona e ne limita i progetti o le aspettative. Al contrario, si tratta di una grazia che si comprende giorno dopo giorno. Camminando insieme, scegliendosi a più riprese, come ripete papa Francesco, si scopre che è una meta raggiungibile per tutti attraverso la cura della gioia che porta l’amore. Non un peso dunque, ma un incredibile dono». Quali sono le parole chiave di questo documento? «“Crescere” e “camminare”. Sono parole – spiegano i coniugi Miano – che superano l’immagine edulcorata della famiglia e ne descrive la realtà con concretezza. Nell’invito finale che il papa rivolge proprio alle famiglie, “camminiamo famiglie, continuiamo a camminare” c’è proprio la prospettiva di una crescita, di una trasformazione della persona e del legame in virtù dell’amore. Nello stesso tempo Amoris laetitia sottolinea che ogni famiglia è abitata dalla presenza del Signore e in questo senso è sacra, anche e soprattutto in virtù delle difficoltà quotidiane. Una storia davanti alla quale occorre togliersi i calzari.» Il papa invita anche al “discernimento”… Anche per quanto riguarda le coppie in difficoltà e le famiglie separate. «Il discernimento è una categoria centrale non...
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Le elezioni amministrative di giugno hanno mostrato il “terremoto” di Roma e di Torino, con la vittoria delle candidate del Movimento Cinque Stelle. Una valutazione più ampia e approfondita del voto in tutti i Comuni che hanno rinnovato sindaco e consiglio mostrano esiti più frammentati e tutt’altro che omogenei. Ma cosa è accaduto attorno a Legnano? Se ne possono trarre indicazioni di tendenza e suggerimenti per le forze politiche che nel 2017 si contenderanno Palazzo Malinverni? Per saperne di più la rivista Polis Legnano propone una lettura dei risultati di Milano, Rho, Varese e Gallarate, con convergenze fra partiti e liste civiche, scelta di candidati sindaco, programmi, stili della comunicazione elettorale, presenza o meno dei giovani… Il giornale si apre però con un focus sulla città a partire da alcuni dati che misurano la “ricchezza” dei legnanesi: redditi, proprietà, depositi bancari. Si tratta di uno spunto – che certo non mira alla completezza del quadro – inteso a offrire un metodo e qualche elemento di analisi e di confronto. Ancora alla città sono dedicati articoli inerenti le “semiperiferie”, i “lavori in corso” (Cadorna, Amga, Bilancio partecipativo…), la presenza di immigrati e la loro accoglienza. In vista del referendum d’autunno sulla riforma costituzionale la rivista presenta un ampio documento dell’associazione “Città dell’uomo”, più che per orientare il voto – non è questo l’intento – per fornire chiavi di lettura di una riforma complessa, da molti ritenuta necessaria e improrogabile, che sarà sottoposta al giudizio popolare. E per “giudicare” occorre conoscere. In allegato l’Introduzione al dossier sulle elezioni...
Somaschi: “Ci siamo presi un pezzo di responsabilità” Valerio Pedroni (Somaschi onlus) racconta l’esperienza del centro di Accoglienza di via Quasimodo. Dalla scuola di italiano, ai corsi di formazione professionalizzante, ai percorsi di volontariato. Un territorio che ha creduto nella possibilità di accogliere e si chiede come farlo meglio. Sulla spiaggia muore l’onda lunga del mare, lasciando i detriti della tempesta. Oltre a cocci e rottami, ossi di seppia, macerie di vite straziate dal mare, eppure ancora vive e pulsanti. Se guardi da Marte il giro di giostra delle migrazioni sul pianeta Terra con un algoritmo spazio-temporale più dilatato, vedi come gli esseri umani siano in frenetico transito sui continenti, a volte tocca partire e sperare che gli altri ti accolgano, a volte tocca vedere altri che arrivano e decidere se accogliere. È una facile interrogazione di geo-politica, anche se le ragioni che generano le partenze sono sempre stratificate e complesse. Quelle dell’Africa tra tutte: da decenni notoriamente straziata dall’Occidente, depauperata di risorse, indotta a conflitti intestini, nel facile gioco del divide et impera (e ruba!). Come se non fosse affar nostro… Insomma, niente di strano se oggi la spiaggia dell’Abendland (la terra della sera, l’Occidente) debba raccogliere le macerie dei fuochi che fomenta da troppo tempo. Solo che è sempre più facile fare finta di non ricordare, e stupirsi davanti a questo ciclo migratorio così imponente. Come se non fosse affare nostro, non fosse faccenda di cui si debba in alcun modo rispondere. Invece no, proprio no. È anche soprattutto nostra la responsabilità (appunto dal latino respondeo, rispondo). Noi a Legnano abbiamo provato a prenderci un pezzo di questa responsabilità, in modo condiviso, proprio perché responsabilità nostra. L’esperienza della casa di via Quasimodo è l’esperienza di un territorio che prova a rispondere: innanzitutto il Comune di Legnano, che mette una struttura, attraverso la sua partecipata Amga. Quindi l’Ambito distrettuale legnanese al completo che appoggia non solo politicamente, ma anche culturalmente l’iniziativa, assumendone la cabina di regia (tra tutti un cenno particolare a Giambattista Bergamaschi, presidente dell’assemblea politica del distretto legnanese e Gianpiero Colombo, assessore ai Servizi sociali di Legnano). I ragazzi (i primi venticinque e quelli che via via si avvicenderanno) saranno sempre accolti dalle istituzioni locali e mai da una realtà sociale che ricerca il massimo nascondimento, per non svegliare facili polemiche. E poi le decine e decine di ragazzi, persone che in questi quasi due anni sono state accanto ai migranti accolti: dalla scuola di italiano, ai corsi di formazione professionalizzante, ai percorsi di volontariato civico. Non sarebbe stato possibile altrimenti. Non sarebbe stato possibile in altro modo fare sentire i migranti a casa, se casa è il luogo dove comincia la tua storia. Credo questo...
Passerelle elettorali sulla pelle di chi scappa dalla morte «Non possiamo più accogliere nemmeno un profugo sul nostro territorio!». La parola d’ordine viene dall’assessore all’Immigrazione della Regione, Simona Bordonali, e dal vicepresidente del Consiglio regionale, Fabrizio Cecchetti, che il 31 maggio hanno effettuato un “sopralluogo” alla ex scuola Medea, possibile sede di accoglienza per i profughi che il Prefetto di Milano intende inviare nel Legnanese, pressato a sua volta dal Governo centrale. Bordonali e Cecchetti – che hanno deciso di fare passerella in città – hanno fatto leva sulle solite parole d’ordine che si riassumono nello “stop ai profughi”. Non si capisce bene, poi, come risolverebbero il problema, di livello mondiale, delle migrazioni, della fuga di milioni di persone dalla guerra e dalla fame, delle traversate del Mediterraneo e delle “rotte balcaniche”… Ma da due politici che non sanno andare oltre gli slogan da bar sport non ci si può attendere granché. Lo stesso può dirsi delle banalità emerse dal “presidio” – meno di 40 persone – organizzato qualche giorno prima dalla Lega Nord davanti alla ex Caserma Cadorna (altro luogo di possibile insediamento dei richiedenti asilo individuato dalla Prefettura). Al coro dei “no a prescindere” si è aggiunta, con eguale “spessore”, la consigliera regionale legnanese Carolina Toia: «Condivido – afferma – le fondate preoccupazioni di quanti abitano e vivono vicino alla scuola e ribadisco la mia solidarietà ai residenti della zona». Negli stessi giorni un gruppo di residenti della Canazza ha scritto a una lista (stranamente lunga e articolata) di personalità istituzionali per dire no agli stranieri: un testo dal quale potrebbero però emergere due letture: non mandate i profughi perché tra loro ci sono quasi sicuramente dei delinquenti; il quartiere ha già i suoi problemi, non possiamo accettarne un altro. La penna che sta dietro al testo non chiarisce il dubbio. A Bordonali e Cecchetti hanno poi risposto il sindaco Centinaio, poi il Pd di zona, quindi una bella riflessione della Lista ri-Legnano «Ben venga tutto ciò che può portare ad affrontare seriamente, e possibilmente risolvere, il problema del costante arrivo in Italia di richiedenti asilo – ha detto il sindaco –. Se l’assessore Bordonali e il vice presidente Cecchetti avessero avuto il buon gusto di avvisarmi del loro arrivo, avrei avuto il piacere di confrontarmi con loro e di informarli in maniera corretta ed esaustiva di quanto si sta facendo a Legnano per scongiurare un massiccio arrivo di profughi». La questione al momento di andare in stampa con questo numero di Polis Legnano non è ancora definita. Certamente torneremo a parlarne. Senza trascurare gli appelli “alti” del Capo dello Stato Mattarella, di Papa Francesco e dell’Arcivescovo di Milano card. Scola, che, senza trascurare le complesse implicazioni...
Una fragile solidità: quest’ossimoro sembra essere un’espressione corretta per la nostra settantenne Repubblica, ma potremmo anche usarne altri, come una “una ricca povera” o “una giovane anziana” e via dicendo, magari invertendo tra loro i termini. Si tratta di ricorsi retorici che celano però profonde verità storiche su come la Repubblica ha avuto i natali e su come si è sviluppata in questo settantennio. Potremmo discuterne a lungo e sarebbe bello poterlo fare invece di perdere tempo a seguire gli sterili battibecchi della nostra classe politica. Nel 1946, appena usciti da un ventennio di retorica patriottica e guerresca, oltre che un militarismo ciarliero e impotente, gli italiani e le italiane desideravano una concretezza che rispondesse ai bisogni del tempo e agli stomaci vuoti, ma che non rinnegasse le grandi passioni di quanti – una parte, certo, della popolazione – stava ancora lottando per un sistema politico di giustizia e di libertà. Né spirito eroico né retorico Molte testimonianze coeve sono dunque concordi nell’indicare la mancanza di ogni spi-rito eroico e retorico nella nascita della Repubblica. Anzi, a prevalere sembrava essere un carattere dimesso, quasi che i repubblicani avessero paura di vincere e di manifestare la propria soddisfazione. Era questa, forse, una garanzia di maggiore durata. Scriveva per esempio Corrado Alvaro che «la Repubblica è nata dimessamente. È forse la prima volta che un regime italiano nasce all’italiana, senza eroici furori, senza deliri di grandezza. La Repubblica italiana è nata come una creatura povera, com’è povero il paese; assistito da parenti poveri». E un altro uomo, che di lì a poco avrebbe giocato un ruolo importante nella stesura della Costituzione, Pietro Calamandrei, rincarava la dose, spiegando che non era «mai accaduto nella storia, che una Repubblica si sia fatta con paziente lentezza e con il re sul trono», aggiungendo: «Ecco la nostra Repubblica: non improvvisata, non balzata su in un giorno di torbida passione: Repubblica voluta, meditata, paziente, ragionata […] destinata a durare secoli». Un altro grande del tempo, Ignazio Silone, ammetteva: «Più di uno è sinceramente costernato per la sobrietà, la semplicità, la prosaicità delle parole che hanno salutato la nascita della prima Repubblica Italiana». Insomma: la grande festa, almeno al centro-nord. era stata quella del 25 aprile e della fine della guerra, più che il 2 giugno, anche per la drammatica lentezza nell’ufficializzazione dei risultati del referendum e per le prime delusioni che andavano affiorando tra gli italiani (a sud, l’Uomo Qualunque di Giannini aveva iniziato la sua rapidissima parabola ascendente). Quindi: fastidio per la retorica e necessità impellenti, ma pure difficoltà nel riallacciarsi a qualche precedente storico gradito. Per i cattolici “repubblica” era addirittura una parola quasi blasfema, perché rimandava alla rivoluzione francese o a quella sovietica...
«La Prima (e unica finora) Repubblica italiana ha retto. Essa ha superato come durata lo Stato liberale (62 anni dal 1861 al 1922), ha surclassato il regime fascista (21 anni dal 1922 al 1943). Nessuno contesta oggi la forma repubblicana, anche se ci si accapiglia sulle strutture costituzionali portanti e sulle modalità dell’esercizio del potere politico, oltre che sul progetto riformatore di Matteo Renzi». Lo scrive Giorgio Vecchio nell’editoriale del nuovo numero della rivista Polis Legnano (in distribuzione da questa settimana), riflettendo sui 70 anni della Repubblica, che in città vengono celebrati con due iniziative il 15 e il 30 giugno. I temi politici nazionali e internazionali solcano altre pagine della rivista: il prossimo referendum costituzionale, il nodo-migranti, il referendum britannico del 23 giugno sulla permanenza o meno del Regno Unito nell’Unione europea. La politica locale prende diverse altre pagine tra bilancio e investimenti, bilancio partecipativo, il nuovo portale per mettere in rete il volontariato. Per i suoi 90 anni il Premio Nobel Dario Fo si racconta, a partire dagli anni della gioventù a Porto Valtravaglia fino a Canzonissima, alla censura Rai, all’invenzione del grammelot. E poi, assieme alla sua Franca, il più alto riconoscimento della giuria di Stoccolma. Ancora un articolo su arte e cultura: la versione italiana dell’inno della Gmg (Giornata mondiale della gioventù), che risuonerà a Cracovia a fine luglio, si deve al coro milanese “Shekinah”. L’inno è stato registrato a Saronno: vi hanno partecipato 5 giovani di Legnano e...