Dopo il voto di giugno, che ha indicato Giambattista Fratus quale nuovo sindaco di Legnano, l’amministrazione di destra è al lavoro. Imperniata sull’asse Lega-Forza Italia, dove la Lega fa numericamente la parte del leone, torna a Palazzo Malinverni chi, sostanzialmente, ha amministrato la città nei 15 anni precedenti la giunta Centinaio. Il segno di maggior “continuità” è dato in particolare dal ruolo di primo piano dell’ex sindaco Maurizio Cozzi, magna pars anche in questa nuova versione della coalizione di governo.
Se svettano Salvini e Grillo… Il risultato del voto è stato analizzato in varie sedi, anche se l’analisi più credibile (confortata da dati e fatti) è quella che indica nel successo della destra a Legnano la fotocopia del voto registrato in quasi tutta Italia e soprattutto in Lombardia. Da Magenta ad Abbiategrasso (per restare a noi più vicini), da Monza a Sesto San Giovanni (casi in sé eclatanti), passando per Garbagnate e Meda, e poi Como e Lodi, per approdare ad altre realtà come Genova, La Spezia, Asti, Alessandria, Piacenza, Pistoia o L’Aquila, si è misurato un netto e profondo spostamento dell’elettorato verso destra. I maggiori commentatori hanno segnalato, tra le ragioni, la paura diffusa (e artatamente alimentata) in relazione a terrorismo e pressioni migratorie, la percezione diffusa che la crisi economica stia ancora mordendo, il punto più alto di sentimenti di chiusura in chiave nazionalista che assegnano alla globalizzazione e a una generica “Europa” ogni colpa della nostra epoca. Da non trascurare poi l’esito referendario del 4 dicembre scorso e l’imperversare mediatico e social di personaggi di modesta credibilità politica che riescono però a far breccia nell’italianità: in questo caso svettano Matteo Salvini e Beppe Grillo.
Una serie di elementi, in rapporto di causa-effetto, che hanno portato alla vittoria Lega e compagni di strada indipendentemente dalla qualità della proposta politica e persino dal valore e dalla statura dei candidati messi in campo. È “girato il vento” a favore della destra come in passato era accaduto per la sinistra.
Si afferma questo senza ovviamente nulla togliere a chi ha vinto, anche a Legnano, avendo saputo infatti pazientare in attesa di tempi migliori per un successo giunto in sede locale ma partito da lontano.
È tutta un’altra politica. La riprova? Sarebbe probabilmente impossibile dimostrare che in tutte, ma proprio tutte le città in cui si è registrato un cambio di governo, il centrosinistra avesse ottenuto scarsi esiti amministrativi negli scorsi cinque anni, mettendo poi in campo per questa tornata elettorale programmi poco appetibili e coalizioni e sindaci perdenti.
Ovviamente il profilo di un esito elettorale influenzato dai trend nazionali vale per le città di medie e grandi dimensioni, quelle per cui è previsto il ballottaggio. Diverso invece il ragionamento per i centri piccoli e piccolissimi, dove la conoscenza diretta, personale, dei candidati e campagne elettorali porta-a-porta rimangono determinanti. In una città come Legnano – lo dimostra il voto del 2017 così come era accaduto, a detta di (quasi) tutti, nel 2012 sul fronte opposto – il voto più che “amministrativo” è “politico”; la campagna elettorale locale, i programmi dei partiti e persino il candidato sindaco rimangono elementi importanti ma non sufficienti (persino non determinanti) per la vittoria o la sconfitta. Una buona campagna elettorale a Legnano può spostare dei voti, ma non abbastanza per invertire la rotta rispetto al clima generale.
Voto sempre più volubile. Occorre infatti acquisire il fatto che l’elettorato è piuttosto volubile; le appartenenze forti, ideologiche o di partito, son venute meno; gli stessi partiti cambiano sempre più spesso nome e leader; e la gran parte dei cittadini si sente comprensibilmente libera di cambiare “opinione” a ogni piè sospinto. Una riprova su Legnano? Il partito democratico alle elezioni 2012 aveva registrato in città il 14% dei consensi; alle europee del 2014 era salito, sempre a Legnano, al 42%, per poi tornare – pur rimanendo il primo partito in città – al 23% nel 2017. Lo stesso dicasi per la Lega: 11% nel 2012, raddoppio dei voti nel 2017.
Si può aggiungere un’ulteriore valutazione. Quanti sono i cittadini che seguono costantemente e consapevolmente la politica a Legnano, tanto da poter giudicare un’amministrazione, sia essa di destra, centro o sinistra, per quanto ha effettivamente realizzato? Quanti elettori conoscono compiutamente le competenze del sindaco, del consiglio comunale o della giunta? Quanti il bilancio comunale? Quanti le realizzazioni, o meno, nei settori dei servizi sociali, dell’istruzione, dell’urbanistica, dei lavori pubblici? In realtà la politica è lontana dai cittadini, e viceversa. E il giudizio per la scelta di questo o quel sindaco, questa o quella maggioranza, si basa su elementi che – riconosciamolo con oggettività! – per lo più esulano dai cinque anni di amministrazione o di attività dell’opposizione consiliare. Si potrebbe dire, in sostanza, che non c’è corrispondenza diretta tra fatti e voti, e neppure i centri di partecipazione sociale e civile, e tanto meno i media locali, riescono a influenzare in maniera determinante il voto cittadino. A giugno, dunque, non c’è stato un “referendum su Centinaio e Fratus”, come qualche improvvisato e maldestro commentatore locale ha affermato. E noi aggiungiamo: “Purtroppo non c’è stato”.
Dall’astensione alla partecipazione. Se queste osservazioni reggono, dai numeri emersi l’11 e il 25 giugno si evince che: i grandi partiti (Pd, Lega, Forza Italia) hanno ancora un buon bacino di voti, altalenante ma significativo; le forze civiche, elemento di partecipazione diretta, non diventano mai determinanti se marciano da sole (specialmente se al loro interno non hanno un vero collante valoriale e politico, come nel caso delle due liste che sostenevano Ornella Ferrario); il “centro” è irrilevante se scende in campo da solo.
Resta poi il gigantesco tema dell’astensione, primo partito in città: un segnale dirompente alla politica nel suo insieme, specchio – locale, nazionale ma anche europeo – del gap esistente tra cittadini e palazzo.
E qui si innesta un’ultima riflessione. Archiviato il voto, è ancora – e sempre – il tempo di tornare alla politica, di insistere sulla necessità di informarsi per capire e giudicare; è più che mai urgente dedicare energie alla formazione all’impegno sociale e politico, sia per i giovani che per gli adulti; resta improrogabile il dovere di coltivare il valore di una democrazia partecipata e vissuta in prima persona. È questo il campo in cui, da trent’anni, si muove l’associazione Polis. È il terreno, costantemente da arare che, per quanto ci è possibile, continueremo a coltivare.
Associazione Polis