Sabato 24 aprile la presentazione a Mazzafame
Si legge «come un romanzo, questo libro di Alberto Centinaio, e come un romanzo ogni pagina invita a passare alla successiva, “per vedere come la storia va a finire”. Non si tratta però di un romanzo frutto di fervida fantasia: le vicende qui raccontate sono tutte vere. Il loro protagonista le ha narrate nei dettagli soltanto a un “uomo” – che altri non è che Alberto Centinaio –, dopo aver taciuto per decenni». È lo storico Giorgio Vecchio, primo presidente dell’associazione culturale Polis, a firmare la prefazione dello splendido libro di Alberto Centinaio, già sindaco di Legnano, studioso con la passione della storia.
Sabato 24 aprile, alle ore 16, al Circolo Pertini a Mazzafame, viene presentato il volume “Sognando la libertà. Il partigiano Sandro”, che narra le vicende del resistente legnanese Samuele Turconi. Alla presentazione (che avverrà all’aperto e nel rispetto di tutte le norme anti Covid), promossa da Anpi Legnano con il patrocinio del Comune, interverranno il presidente Anpi Primo Minelli, Renata Pasquetto, del direttivo Anpi, il sindaco di Legnano Lorenzo Radice e l’autore Alberto Centinaio.
Del suo lungo lavoro di ricerca, documentazione e scrittura, Centinaio ha affermato: «Si tratta di un racconto avvincente che si basa su fatti realmente accaduti e che vuole mettere in risalto soprattutto gli aspetti umani di chi ha lottato in un conflitto duro e senza esclusione di colpi. Il mio auspicio è quello che anche i giovani leggano questo libro per fare memoria della Resistenza e maturino un forte desiderio di contribuire alla rinascita del nostro Paese così come fecero molti anni fa i giovani di allora, seppur in un contesto molto diverso».
Nella prefazione Giorgio Vecchio chiarisce: «Di Samuele Turconi si sapevano già parecchie cose. Il suo volto e il suo nome non erano rimasti sconosciuti a Legnano e in Valle Olona. Le storie della “battaglia di Mazzafame” e della sua rocambolesca fuga dall’ospedale, dopo essere stato ferito e arrestato, sono assai note e più volte rievocate. Anche la sua partecipazione all’attentato all’albergo Mantegazza era ormai cosa risaputa». Si veda il volume G. Vecchio, N. Bigatti, A. Centinaio, “Giorni di guerra. Legnano 1930-1945”, Edizioni Eo Ipso, Legnano 2001. «Inoltre l’Anpi lo annoverava tra i suoi soci e lo aveva onorato – come dovuto – in occasione della sua scomparsa nel 2009. Questo libro, però, in una forma letteraria romanzata (che non vuol dire falsificata), offre qualcosa di più al lettore, perché mette in ordine tutti gli episodi, li arricchisce di particolari inediti, spiega le motivazioni dell’agire di Samuele. Qui sta la novità del lavoro di Centinaio».
Vecchio, tra i massimi esperti della Resistenza in Italia, specifica: «La lettura di questo bel libro ci riporta dunque nel pieno delle vicende della Resistenza legnanese, scavando però negli anni precedenti e mostrandoci una realtà che appare sideralmente lontana rispetto a oggi: la Legnano delle cascine, delle stalle, dei boschi. Ma anche la Legnano operaia, quella della Franco Tosi e delle tante altre aziende, con le centinaia di tute blu a riempire le strade; la Legnano resistente al fascista e al tedesco, impersonata un po’ da tutti, imprenditori e dipendenti, uomini e donne, giovani e anziani. Senza dimenticare la presenza della Legnano fascista, con il suo universo di protagonisti: chi mosso ancora da un ideale (per quanto distorto), chi semplicemente sprovveduto, chi invece pronto a speculare e, peggio, a imprigionare, vessare, torturare. I nomi sono tutti nei libri di storia e anche nelle pagine che seguono».
«È bene non dimenticare mai questo caleidoscopio di volti e di cuori: è la complessità di ogni società e quindi anche della nostra società legnanese. Pretendere di rinchiudere tutti entro caselle prefissate è un abbaglio colossale».
Vecchio precisa: «All’epoca della guerra, Samuele era giovane, giovanissimo anzi per i parametri attuali. Bisognerebbe riflettere su questo aspetto anagrafico, in un’epoca come la nostra nella quale si parla moltissimo di giovani, ma ben poco si fa per loro». Di certo i giovani della Resistenza, «come Samuele – avevano alle spalle una vita più disagevole (si leggano con attenzione le frasi che Centinaio dedica alla descrizione delle condizioni della vita quotidiana) e un’educazione che aveva fatto dell’eroismo, del sacrificio personale e delle virtù civili dei punti imprescindibili».
Più avanti aggiunge: «Spicca nella vita di Samuele e nelle pagine di Centinaio, la citata vicenda dell’attentato dinamitardo all’albergo Mantegazza, a pochi passi dalla nostra stazione. Immagino il grido di riprovazione di molti: un atto di terrorismo! In un certo senso, sì. In tutta Italia, anzi in tutta Europa, la Resistenza antinazista ha compiuto atti del genere, anche più clamorosi. Basta pensare a via Rasella, a Roma. […] Ovunque, la decisione di colpire i tedeschi e i loro complici comportò aspre polemiche, tra chi riteneva ogni attacco disumano e soprattutto controproducente e chi invece lo difendeva come funzionale a rendere la vita sempre più insostenibile per gli invasori e di conseguenza ad affrettare la fine del conflitto. Dovrei dedicare molte più pagine a questo tema, che sono anche oggi al centro della riflessione degli storici di professione. Va aggiunto, tra l’altro, che l’equazione attentato=rappresaglia non era sempre esistente. Sappiamo che in tanti casi ci furono rappresaglie naziste non provocate da precedenti azioni partigiane e che attentati o attacchi dei “ribelli” non furono seguite da particolari vendette. Del resto, proprio l’attentato al Mantegazza provocò misure di ritorsione, ma non ulteriori spargimenti di sangue. Qui voglio però ricordare che si era allora in guerra, non in pace. […] La guerra di allora era necessariamente guerra di liberazione da un occupante spietato. E in guerra conta uccidere il maggior numero di nemici. So di aver scritto una frase brutale, ma questa è la realtà, che nel 1943-1945 tutti conoscevano».
Segue una riflessione di Vecchio di estrema attualità sulla violenza: «Per fortuna la nostra coscienza civile attuale respinge ogni tipo di violenza. Abbiamo veramente compiuto dei progressi in materia, pur se la violenza circonda ancora le nostre vite. Però, più di ieri, noi siamo consapevoli che ciò è male. Chi di noi è più cosciente e impegnato opera anzi per rimuovere le cause della violenza e per farsi vero operatore di pace. Non possiamo però pretendere di giudicare retrospettivamente padri, nonni o bisnonni, usando i nostri criteri! Dico questo perché vedo operante da più parti questa tentazione, specialmente all’interno della Chiesa cattolica: nella beatificazione di martiri della Resistenza (Teresio Olivelli, per l’Italia, ma ci sono altri esempi all’estero), si tende a portare al massimo grado le dimensioni della carità o della spiritualità, censurando le azioni militari e armate. Facendo ciò, si compie un duplice errore, ovvero sia quello di retrodatare i nostri parametri sia quello di dimenticare che tutti quei giovani erano stati preparati a usare le armi. Dopotutto i ventenni del 1940 erano stati educati alla luce del mito della Vittoria, del Piave e del Grappa e dei loro eroici combattenti. Semmai il problema morale era un altro: qual era l’autorità legittima cui obbedire, un’autorità che garantisse la liceità morale dell’uso del fucile?».
Dalle pagine del libro di Centinaio emerge però «il ritratto di un Samuele che sa usare – e quanto bene! – le armi (lo ha imparato proprio nel Regio Esercito), ma che mostra una certa ritrosia a farlo. Sempre ben armato, cerca di non sparare se non in caso di estrema necessità. E, se ho ben capito, questo suo essere stato comunque al centro di azioni sanguinose ha costituito un motivo sostanziale del suo prolungato silenzio. C’è un pudore, da rispettare, quando si parla della morte, anche di quella dei nemici».
«Forse però non è stato solo questo. Sono tanti infatti coloro che hanno steso uno spesso velo su quanto era loro successo durante gli anni della II guerra mondiale. Hanno avuto ritegno a parlare sia i sopravvissuti ai campi di concentramento e a quelli di sterminio. […] Ma hanno avuto ritegno anche autentici protagonisti della Resistenza, talvolta proprio i migliori: quelli che avevano resistito (con o senza le armi) per puro senso del dovere, quelli che erano rimasti disgustati dalla corsa ai riconoscimenti o dai trasformismi del 1945. Dopo tutto, l’arte del “riciclarsi” non appartiene soltanto alla nostra epoca… Di certo, Samuele non ricercò ricompense, onori, poltrone o poltroncine. E dunque, come non vedere in lui una figura di puro idealista, da avvicinare ai giovani patrioti del 1848, del 1859 e del 1860?».