In questi giorni è in distribuzione l’ultimo numero del 2017 di Polis, riportiamo l’editoriale che apre quest’ultimo numero.
Ci vediamo nel 2018.
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Incontrai Polis quasi per caso… doveva essere il 1997 o giù di lì. Al liceo – non so come – era arrivato un volantino in cui l’associazione presentava un ciclo di incontri sulla storia di Legnano e dell’Altomilanese. Incuriosito andai a sentire. Furono un paio di serate molto belle: da studente mi incuriosì molto scoprire che c’erano persone che studiavano la storia locale con passione e conoscenza di dettagli che ti facevano capire la realtà in cui vivevi e davano risposte che sui libri di scuola non trovavi… Perché tante fabbriche a Legnano? Da dove nasceva quel passato industriale così presente eppure così abbandonato a quel tempo? (nel cuore di Legnano svettava ancora la Cantoni e la nonna ti raccontava di quando lavorava in Manifattura). Cosa era successo qui durante le due guerre mondiali? E chi lottò durante la Resistenza? Chi erano gli immigrati di allora che venivano a lavorare qui? Dove andavano a vivere? E come vivevano? Ne uscii con tante domande, altrettante risposte e una rivista in mano: Polis… nome curioso per un giovane studente che combatteva con le versioni di greco!
Tante domande che – anni dopo – ho capito aver segnato le curiosità di un giovane e contribuito a formarne le scelte… Volontariato con immigrati stranieri e studi sociologici e così, nel 2003, reincontro l’associazione: vengo intervistato – ricordo ancora l’emozione! – da un certo Piero Garavaglia (oggi presidente dell’associazione Polis) sulla mia tesi di laurea triennale, pubblicata in un volumetto dal titolo “Le ombre di Legnano”, ricerca etnografica sugli immigrati “residenti” nei capannoni abbandonati della ex Cantoni. Ri-scopro così la rivista di Polis, che da allora inizia a capitarmi tra le mani sempre più di frequente. Intanto l’impegno sociale cresce e si arriva al 2007: sono passati dieci anni da quelle serate sulla storia di Legnano e mi ritrovo invitato in una serata invernale davanti a un caminetto a parlare di politica e attività culturali locali.
Da allora ho iniziato a collaborare, con alti (pochi) e bassi (tanti) con Polis, condividendo lo spirito e l’idea di luogo di riflessione ed elaborazione di un pensiero non effimero e non legato solo ed esclusivamente all’immediata cronaca e al presente dei fatti politici e culturali locali. Questo tratto, che caratterizza la rivista da sempre, credo ne sia il valore aggiunto anche e soprattutto oggi.
Alcuni negli ultimi anni hanno criticato la rivista… troppo statica, troppo lenta, poco vivace, poco “sul pezzo”… Sicuramente dopo 30 anni, la rivista va “rivista”, aggiornata, magari adeguata nella grafica ai tempi, e più connessa a una “cross-medialità” che sempre più è necessaria (e qualche primo passo è stato fatto iniziando a riprendere e rilanciare gli articoli sui social network). Ma –nonostante tutto ciò – credo che ancor più oggi la rivista in sé abbia un gran valore proprio per la sua “lentezza”.
Spero di non annoiare troppo chi legge, provando a condividere alcuni “perché” di questa mia affermazione.
Viviamo un tempo in cui le notizie si materializzano e smaterializzano nel tempo di una giornata e di una polemica sui social network. Sempre più schiacciati in una dimensione di “eterno presente”, sempre in costante movimento (col dito a scrollare sul video del nostro smartphone), abbiamo sempre meno tempo per fermarci ad aprire spazi di riflessività su quel che vediamo e viviamo. Esposti a un continuo aumento, accumulo, concentrazione di stimoli e informazioni, siamo chiamati non solo a gestire “di più”, ma anche a farlo sempre più velocemente: il tempo diventa una variabile sempre più compressa. Entriamo in contatto con un’infinità di cose, persone, accadimenti diversi e in più c’è da gestirne la “contemporaneità”: tutto insieme, tutto subito… mail, telefono, whatsapp. Come se fossimo interconnessi e sempre presenti anche quando non lo siamo.
Inoltre i media contemporanei sono sempre più dei “personal media”: interattivi e caratterizzati da bidirezionalità della comunicazione. Se internet è la biblioteca del mondo e ciascuno di noi vi può entrare e uscire in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo, allora servono capacità enormi per cercare-selezionare e certificare le informazioni disponibili. Nel muoverci dentro, viviamo una crescente esperienza della perdita di senso (o dei “sensi”). Non abbiamo più tanti punti cardinali che possano orientarci: siamo esposti quindi a queste sollecitazioni e contemporaneamente non abbiamo modelli forti e solidi, quadri di lettura, decodifiche che aiutino ad affrontare il mondo di oggi. Quelli che per almeno 60-70 anni sono stati riferimenti “familiari” – si potrebbe dire “istituzionali” – si sono indeboliti, quando non addirittura sono visti come ostili.
E quindi: come reggere a tutto questo? Come muoversi? Che direzione prendere?
Un primo movimento può essere quello di fermarsi e chiedersi se la “bulimia di connessioni” che viviamo ci serva per riempire i vuoti (desiderio di non perdere le connessioni) o per un reale bisogno di informazioni.
Un secondo movimento può essere quello di re-imparare ad accettare i limiti e a darci dei limiti anche nel tempo dell’esplorazione, in quanto il sapere accumulato non basta mai; anzi la conoscenza ci rende consapevoli della nostra ignoranza. Fissare dei contenitori aiuta allora a definire dei confini alle questioni e portarci al terzo movimento: lasciare il tempo di metabolizzare. Fermarsi per attivare spazi di riflessività, per sospendere il giudizio e la catena “azione-reazione” tipica dello scambio dei social ed entrare nello scambio “contributivo”, in cui a prevalere è l’apporto di saperi (al plurale!) approfonditi e qualificati sul tema oggetto di scrittura.
Un terzo movimento è quello di ricreare legami e costruire punti di riferimento, attrattori in grado di costruire una storia nel tempo. Fare “story telling” per dirsi in continuazione perché si fanno le cose e metterle in relazione, ritrovarne il senso, trovare dei punti di collegamento.
Ecco il valore assolutamente contemporaneo di una rivista come Polis Legnano, giunta al trentesimo anno di pubblicazioni. Oggi come 30 anni fa, essa è uno strumento di riflessività, un contenitore limitato ma proprio per questo in grado di portare “contribuzioni” qualificate ad aprire spazi di riflessione. La rivista resta la “scusa” per creare una community che intorno ai valori di Polis – quelli del cattolicesimo democratico, volendo schematizzare – si riconosce. Uno strumento attrattore per una comunità più grande, quella di una città di 60mila abitanti, che trova in quelle pagine di carta un “luogo” di senso che parla alla città e con il quale discutere, criticare, contestare.
Un punto fermo in un mare di incertezza, che aiuta a tenere la rotta e raccontare la storia di una città e della sua comunità.
Lorenzo Radice
(si ringraziano per alcune riflessioni contenute nell’articolo
Claudia Marabini e Achille Orsenigo – Studio APS;
prof. Piercesare Rivoltella – Univ. Cattolica Milano