La commemorazione dei deportati legnanesi del 1944 è stata affidata, quest’anno, a Mariapia Garavaglia, già parlamentare e ministro, impegnata nel sociale, ora presidente dell’Associazione nazionale partigiani cristiani. A Polis Legnano parla dei valori della Repubblica, del ruolo delle donne, delle minacce populiste

A Legnano, lo scorso 10 gennaio, Mariapia Garavaglia – neo presidente nazionale di Anpc (Associazione nazionale partigiani cristiani), tra commozione e applausi ha ricordato, nei capannoni della Franco Tosi, la deportazione avvenuta nel gennaio 1944, di un gruppo di lavoratori nei campi di concentramento nazisti. Severa e profonda la condanna che Mariapia Garavaglia ha fatto risuonare nei capannoni della storica azienda legnanese. Rivolgendosi ai giovani studenti delle scuole medie presenti sul palco, Garavaglia li ha invitati a “fare viaggi nei campi di concentramento, ma non viaggi della memoria, bensì del futuro. Solo se ci accorgeremo di quello che è accaduto non cadremo più negli stessi errori”.

Bisogna coltivare la cultura della solidarietà per difendere la memoria dei martiri della Resistenza e tenere lontani i pericolosi virus che minacciano la società. “I partigiani – ha affermato Mariapia Garavaglia – e coloro che hanno avversato un regime totalitario fascista e poi anche nazista, ci hanno regalato con la loro vita il sistema democratico e la Repubblica. Oggi i giovani devono essere aiutati, indirizzati, facendo conoscere la storia, a difendere i risultati ottenuti, a costruire una patria più grande e l’Europa perché, essa stessa, è stata vittima del nazi-fascismo”.

 

Di fronte a rigurgiti nazifascisti in Italia, come in Europa, non crede sia urgente una mobilitazione culturale e civile?

Oggi tutta l’Europa deve unirsi per cancellare anche le minime insorgenze di quella cultura. Purtroppo sia in Italia, che negli altri Paesi, anche se minoritarie, ci sono frange che non possiamo accettare e vanno sempre sanzionate culturalmente, moralmente e adagio, adagio, svuotate dei loro contenuti antistorici, antiumanitari attraverso la testimonianza di chi crede che non si possano più ripetere le tragedie del secolo scorso. In Italia vedo che, per altre strade anche un po’ più politicizzate, ci sono giovani che stanno scoprendo che la partecipazione li rende protagonisti nel sistema democratico. Come Anpc dobbiamo lavorare in questo solco. I principi su cui si sono fondate la Repubblica e l’Europa dei nostri padri fondatori, sono i principi personalistici. Noi potremmo dire anche principi cristiani, ma non ci interessa. Ci interessa piuttosto rivendicare valori che hanno costruito la cultura europea. Ogni volta che sarà possibile, sia nel parlare con i giovani, sia nel preparare progetti da presentare ai ministeri, insisterò su questo collegamento e su una continuità di intenti.

 

Non crede sia fondamentale collegare la Resistenza italiana con la Resistenza europea poco conosciuta?

Senza dubbio. Se dovessi scegliere uno slogan è proprio quello di collegare i resistenti italiani a tutti i resistenti europei affinché noi oggi, ricordando Bonhoeffer di Resistenza e resa, non vogliamo proprio arrenderci. Bisogna ricordare e far conoscere la straordinaria opposizione al nazismo dei giovani della Rosa Bianca di Monaco, ma anche gli scout. Nel primo consiglio nazionale della nostra associazione ho ribadito quanto detto. Ci sono progetti in atto della precedente gestione che ho sottoscritto in toto. Con piacere ho trovato una squadra integrata e appassionata.

 

Quale progetto culturale intende sviluppare nel suo mandato?

Parleremo di Onu, cioè la patria delle patrie. Sono oltre 190 paesi che hanno trovato, in un livello sovranazionale, il luogo delle trattative e del dialogo. Il ragionamento sull’anniversario dell’Onu, nato nel 1945, ci aiuta a ragionare su sovranismi e nazionalismi. Tutto ciò che è sovranazionale ci rende cittadini del mondo, ci rende forti perché la storia ha già certificato che i nostri principi hanno vinto e dobbiamo continuare ad implementarli. Se ci si addormenta e subentrasse l’accidia, si facilitano l’insorgenza, e i rigurgiti, di quei movimenti.

 

Non crede sia necessario far emergere con maggiore determinatezza il ruolo delle donne nella Resistenza?

Credo che per troppi anni i democristiani non utilizzarono quell’argomento per accreditarsi, come fece purtroppo la sinistra perché era all’opposizione concettualmente e culturalmente ai principi della democrazia italiana ed europea. I democristiani, o coloro che erano in questione, non hanno mai rivendicato abbastanza, come hanno fatto gli altri, l’apporto dato alla Resistenza. Credo di poter dire che quei giovani, gli scout, gli adulti, le donne, le suore, i preti si erano schierati a causa dei principi a cui ispiravano le loro scelte di vita. Oggi siamo sicuri che quei principi hanno vinto. Senza presunzione, ma con orgoglio di aver scelto la parte giusta, dobbiamo, anche con l’aiuto degli storici, richiamare in vita dei nomi importanti qui a Milano. Nella recente visita alla sezione milanese di Lambrate (Acli, via Conte Rosso) abbiamo parlato proprio di questo argomento. Ci sono possibilità, ad esempio, di fare pubblicazioni sul ruolo delle suore nella Resistenza, e credo sia uno dei progetti che caldeggerò, accompagnerò e fiancheggerò. Dei preti e delle donne si è parlato un po’ perché, richiamando la Costituzione, abbiamo pensato alle madri costituenti, molte di quelle hanno fatto la Resistenza. Dobbiamo preparare una generazione di donne che credono a se stesse come classe dirigente del Paese. Ci sono moltissime donne che hanno contribuito a vario titolo alla formazione e alla vita della nostra Repubblica, ma non abbiamo avuto nemmeno un primo ministro donna, ancor meno un Presidente della Repubblica donna. Dobbiamo lavorare per continuare a valorizzare il ruolo delle donne, affinché esse stesse siano consapevoli e orgogliose di ciò che hanno fatto e tuttora fanno per il bene dell’Italia.

 

Silvio Mengotto