Un progetto nato dalla volontà di una famiglia che ha aperto le porte – e il cuore – a chi si trova in difficoltà. In questo caso si tratta di giovani donne affette da disturbi di personalità. Una vicenda in cui appaiono i nomi di Maria Grazia e Franco Macchi, della Lilt di Legnano, mons. Carlo Galli, Il Sentiero… E lì accanto è sorta la casa ecologica

Il rischio era di avere un’altra casa abbandonata, la realtà è una comunità educativa, la “Alda Merini”, che funziona dal 2016 e lavora al recupero di ragazze affette da disturbi di personalità borderline. In mezzo sta la scelta di una famiglia di Castellanza, i fratelli Maria Grazia e Franco Macchi, di mettere a disposizione quella villa in viale Italia che, dal 1965, era stata la loro casa. Una scelta che, stando alle carte bollate dell’operazione (tante), è stata un dono per gli altri e una rinuncia per sé, ma che, non importa qui indagare quanto intenzionalmente, sposa nei fatti quello che Harvey Mackay, uomo d’affari statunitense, ha espresso a parole: “Ciò che abbiamo fatto solo per noi stessi muore con noi. Ciò che abbiamo fatto per gli altri e per il mondo resta”.

E questo vale per una casa costruita per la famiglia; sei persone a metà degli anni Sessanta, poi il tempo, inesorabilmente, ne assottiglia le fila. Così quei trecento metri quadrati per due sole persone sono diventanti tanti pensando al passato, troppi immaginando un futuro su cui, prima o poi, si sarebbe abbattuta la triste sorte dell’edificio vuoto. Assistere alla demolizione di quella che è stata la loro casa per cinquant’anni e monetizzare il futuro del terreno con l’immobiliare di turno non è nelle loro corde; si può allora mettere utilmente a disposizione di altre persone quello che è tuo?


Un bel progetto.
Non ci sono anime belle in casa Macchi; da diversi anni, dopo la pensione, Franco è volontario nella Lilt di Legnano, ambiente fatto di persone che dedicano parte del loro tempo a fare qualcosa per gli altri. Si sa che le idee vengono scambiandosele; dapprima si guarda all’esempio di una struttura legnanese, la Madonnina dei cedri, dedicata all’accoglienza temporanea di persone anziane autosufficienti. Anche la loro villa, con l’invecchiamento della popolazione – si chiedono – potrebbe servire allo scopo? Il primo interlocutore per passare dall’intenzione a un progetto è monsignor Carlo Galli, allora parroco di San Magno. Visto che le idee si cambiano in presenza di un’idea migliore e siccome la villa ha diversi gradini d’ingresso, quindi non ideale per un’utenza da terza età inoltrata, e don Carlo registra i bisogni di chi bussa alla casa parrocchiale, l’orientamento si ricalibra sulle madri sole con bambini piccoli; una categoria che ha assunto un certo peso numerico fra le richieste di sostegno. Il dado è tratto: la firma della convenzione di comodato d’uso vede seduta al tavolo la cooperativa sociale Il Sentiero. Oggetto del documento è “attività di accoglienza, riabilitazione, cura di persone svantaggiate”.

Nulla di più dettagliato; non è quindi definita ancora l’utenza nel momento della stipula. Ma cedere in comodato d’uso quella che resta la propria casa non è questione chiusa da una firma: l’interesse dei fratelli Macchi per quello che, di lì a qualche tempo, succederà nella villa non è né può essere una semplice curiosità. La cooperativa li coinvolge nel modo più concreto, mostrando le attività che svolge nelle strutture già in funzione.

 

Personalità borderline.Comincia un tour di visite nei centri di Lecco e Merate, si fanno strada le ipotesi di destinare la villa a comunità di recupero da nuove dipendenze, come la ludopatia, poi dipendenze affettive. Nel frattempo, nell’arco di tempo necessario per adattare l’immobile alle esigenze dei futuri ospiti e per il trasferimento degli uffici della cooperativa prima di stanza a Milano, si fa strada un’altra ipotesi, quella che si realizzerà e che non era dal principio in lizza. Si tratta di un progetto sperimentale per il “trattamento residenziale intensivo e integrato degli esordi del disturbo di personalità borderline”; un progetto che si basa sul metodo di trattamento G.E.T. (Gruppi esperimenziali terapeutici) utilizzato dai centri Snodi, una rete di comunità integrate femminili per minori promossa da Carlo Arrigone e Luigi Campagner, due professionisti della cura psicologica e psicoanalitica.

Il progetto era già attivo in alcuni centri della cooperativa Clessidra, oltre che all’ospedale San Raffaele, in ambiente di day hospital. Serviva, per continuare e approfondire la sperimentazione, un centro residenziale dove le ragazze potessero seguire dei corsi per alleggerire al massimo la terapia farmacologica con cui si è soliti trattare i pazienti. Il motivo è intuibile: in età adolescenziale gli effetti dei farmaci possono avere ripercussioni che è meglio evitare. Avanti quindi con una terapia dal taglio più marcatamente psicologico, fatta di relazioni, con le figure professionali specialistiche e le altre ospiti della comunità e di attività psicoeducative con il supporto di psicologi, psicoterapeuti e medici specializzati.

 

Adesione del Comune.Ogni ospite partecipa a gruppi terapeutici, è affidato a un tutor con il quale ha regolari colloqui e resta in contatto mediante reperibilità telefonica, vive momenti di attivazione corporea ed emotiva e può anche seguire corsi, come quello di scrittura creativa. Il centro residenziale nasce sì con una natura ibrida, a cavallo fra gli ambiti sociale e sanitario, che conferma il suo carattere sperimentale, ma risponde a una necessità che la giunta comunale castellanzese riconosce quando, nell’agosto 2016, delibera l’adesione al progetto della cooperativa.

La “Alda Merini”, comunità attiva 24 ore su 24 che può ospitare un massimo di dieci pazienti, dotata di camere da letto, studi per gli psicologi, spazi comuni e ambienti per gli uffici e l’archivio della cooperativa, fa la sua parte nel trattare quella tipologia di pazienti che, all’epoca della delibera di giunta, era quantificata in oltre 350 casi di disagio minorile all’anno con connotati d’urgenza nel solo territorio dell’ex Asl di Varese.

Un’altra casa, di legno.Se quindi, da qualche anno, sulla targhetta del citofono al cancelletto della villa si legge cooperativa Sentieri – comunità Alda Merini, casa Macchi si è spostata di qualche metro soltanto. Nello spazio a fianco della villa, dove si lavoravano le aiuole dell’orto, è sorta nel 2014 una casa in legno che rappresenta, se non un unicum, di certo una rarità in zona. Anche qui, a dare il “la” alla scelta per la nuova abitazione, calibrata sull’attuale composizione familiare, è stata l’esperienza della Lilt, associazione che era solita installare in piazza San Magno una casetta in legno accanto all’albero di Natale.

La casa altoatesina produttrice del manufatto, però, non si limita a taglie per Babbo Natale; realizza vere e proprie abitazioni con tutti i pregi che il legno presenta per l’isolamento termico e conseguenti benefici in bolletta e per l’ambiente. Per i fratelli Macchi si rende d’obbligo una puntata in quel di Chienes, dove ha sede l’azienda. I modelli convincono; gli interni di queste case rappresentano bene la svolta decisa che stanno imprimendo al corso della loro vita. Anche questa è una scelta convinta; per questi modelli si richiede una documentazione per l’impatto acustico e ambientale che avrebbe scoraggiato molti, ma non loro.

La costruzione di una casa in legno (durata dei lavori tre mesi) non costa meno di una tradizionale; il guadagno (consumi dimezzati) viene dopo e anche qui si tratta di vedere qualche mossa più in là, come usano i migliori scacchisti. Pannello sul tetto, vespaio d’areazione sotto la piattaforma in cemento che fa le veci delle fondamenta, cappotto termico e pannelli fonoassorbenti sono voci della carta d’identità di una casa che il regolamento edilizio comunale ha voluto con una facciata d’intonaco, che maschera ma nulla toglie alla singolarità dell’edificio, in cui si trovano a meraviglia i proprietari, che raccoglie, per la piacevolezza degli interni, i consensi dei visitatori e che intrattiene ottimi rapporti di vicinato con la casa madre, quel “dono” fatto a ragazze di cui i fratelli Macchi non sapevano nulla, tranne che avessero bisogno. Alcune, in questi anni, si sono fatte conoscere da Maria Grazia e Franco, altre hanno lasciato la casa perché guarite.

C’è speranza per le ospiti della “Merini”, la poetessa dei Navigli che resterà per tutti “La pazza della porta accanto”.

 

Marco Calini