I timori per la vittoria euroscettica

Le elezioni hanno messo in luce – sottolinea Enzo Pezzini – un Paese più lontano dall’Europa. L’Ue è chiamata a rinnovarsi, ma ora s’intravvede il rischio di un isolamento di Roma rispetto al progetto comunitario. Lo studioso italiano che vive a Bruxelles valuta il nodo-immigrazione e il peso della crisi economica.

Dopo il voto del 4 marzo l’Italia è sotto i riflettori europei. Le letture del voto che si sono avute in sede nazionale in genere non hanno trovato corrispondenza in quelle – piuttosto preoccupate – prodotte a Bruxelles, a Berlino o a Parigi. Ne parliamo con Enzo Pezzini, ricercatore associato del Centre de Recherche en Science Politique – Université Saint-Louis di Bruxelles, collaboratore scientifico dell’Université Catholique di Lovanio e docente alla facoltà di Scienze sociali ed economiche dell’Institut Catholique di Parigi.

Visto dall’Europa, quali riflessioni alimenta il voto italiano? Il risultato le sembra in linea con altre elezioni svoltesi in Paesi Ue?
Innanzitutto c’è molta sorpresa, per la dimensione dei risultati e perché si tratta di un primo caso nel quale un grande Paese fondatore dell’Unione vede uscire dalle urne una maggioranza “antisistema” ed euroscettica. Finora nelle elezioni degli altri grandi Paesi, in Francia o in Germania, pur in presenza di forze “antieuropeiste” o di estrema destra (anche consistenti) queste non avevano prevalso. C’è poi la difficoltà a “classificare” il Movimento Cinquestelle, rispetto agli altri partiti europei “potenzialmente assimilabili”. Infatti non si può paragonare al Front National francese (più vicino alla Lega), nemmeno a Ukip inglese (anche se siedono nello stesso gruppo al Parlamento europeo), né a Podemos spagnolo. In effetti c’è poi da constatare una persistente continuità, un’onda lunga che sta traversando l’Europa, lo abbiamo visto con il Brexit nel Regno Unito, la destra islamofoba di Geert Wilder in Olanda, la Polonia del partito Diritto e giustizia, l’Ungheria di Viktor Orban, la Repubblica Ceca di Milos Zeman, l’Austria di Sebastian Kurz e le turbolenze catalane, ma se allarghiamo lo sguardo oltre oceano possiamo vedere lo stesso nell’elezione di Trump negli Usa. È un fenomeno che deve far riflettere e osservo come anche il linguaggio è cambiato: si semplificano realtà oggettivamente complesse, si ricorre a slogan che fanno presa, si alimenta la paura più che la riflessione.

Le cosiddette forze sovraniste ed eurocritiche, che stanno avendo buoni risultati in tutta Europa, ottengono dunque vasti consensi anche fra gli elettori italiani. Quali, a suo avviso, le ragioni?
Ci sono molti fattori che hanno portato una maggioranza di elettori a questa situazione di risentimento nei confronti dell’Europa, dopo essere stata l’Italia da sempre uno dei Paesi più euroentusiasti. Possiamo identificare l’inizio di questa trasformazione negli anni ’90 con l’applicazione dei criteri di Maastricht, che hanno imposto una forte politica di rigore a un Paese che viveva sullo sviluppo del debito pubblico. Un secondo momento di disincanto inizia con la crisi finanziaria e poi economica del 2007-2008 e le politiche di rigore e austerità fortemente volute dalla Germania, che hanno determinato anni di recessione. A questa situazione complessa si è aggiunta dal 2013 la questione dei migranti di fronte alla quale l’Italia è stata lasciata sola.

In sede Ue si è auspicata un’Italia con un “governo che governi” e aperto all’Europa. Quali le reali preoccupazioni?
Le elezioni europee saranno tra poco più di anno, si sta iniziando a discutere il bilancio europeo per il prossimo settennio e si è raggiunto un accordo per rivedere la Convenzione di Dublino sull’accoglienza dei rifugiati. Passaggi dunque di grande importanza e la preoccupazione presso le istituzioni europee è di poter contare su un governo italiano forte e attento. Le preoccupazioni sono legate alla potenziale necessità di dialogare con chi, fino a non molto tempo, fa indossava magliette “no euro” nel Parlamento europeo o proponeva referendum per l’uscita dall’euro. C’è ovviamente prudenza e speranza che il buon senso prevalga.

Brexit, Catalogna secessionista, varie aree europee in fermento. C’è ancora la volontà di costruire un’Europa unita e coesa?
Il progetto europeo resta, secondo me, l’unica possibilità che hanno i nostri “piccoli” Paesi di poter contare su una scena internazionale dominata da potenze economiche e demografiche molto più grandi di qualsiasi Paese dell’Unione. Il rischio evidente è la marginalizzazione, l’Europa non è più il centro del mondo. Se ci guardiamo attorno vediamo che non stiamo solo perdendo influenza, stiamo rischiando di perdere la battaglia dei valori in un mondo che sembra non particolarmente attento ai valori della democrazia, della tolleranza, della parità uomini e donne. Le sfide sono planetarie: sicurezza, politica estera, commercio, ambiente, energia, ricerca e innovazione… Non sono più pensabili su “scala nazionale”.

Gianni Borsa