Il presidente di Confindustria Alto Milanese traccia per la rivista Polis Legnano un quadro dell’industria manifatturiera con un occhio al futuro. “Progettiamo una scuola in cui i giovani possano acquisire le competenze richieste dalle imprese”

 

Per il futuro economico del nostro territorio, Confindustria Alto Milanese, organizzazione imprenditoriale che rappresenta e tutela l’attività di oltre 400 aziende, per 5 miliardi di fatturato aggregato e più di 15mila dipendenti, ricopre un ruolo fondamentale. Al fine di meglio inquadrare la situazione del nostro settore manifatturiero, abbiamo incontrato il presidente dell’associazione, Diego Rossetti, stimato imprenditore che, con la sua azienda e il suo marchio ha portato l’eccellenza del settore calzaturiero italiano nel mondo. Uomo pratico e diretto, scevro da ogni formalismo, Rossetti ci ha trasmesso vitalità e lungimiranza imprenditoriale con riflessioni e proposte che fanno ben sperare in un positivo futuro economico e occupazionale per il nostro territorio, con particolare attenzione al mondo giovanile.

 

La Legnano di oggi non è più la città della grande industria della seconda metà del secolo scorso ed il tessuto economico dell’intero territorio dell’Alto Milanese si è radicalmente trasformato. Come vede le prospettive industriali di questo nostro territorio?

C’è chi, riferendosi agli enormi cambiamenti che negli ultimi decenni hanno interessato il tessuto produttivo di Legnano e dell’intero territorio dell’Alto Milanese usa il termine “declino” quasi a significare una sorta di processo di deindustrializzazione in atto. Io preferisco parlare di grande trasformazione. I tempi delle grandi industrie pesanti, così come le conoscevamo, sono certamente finiti non solo a Legnano ed il nostro tessuto industriale si è dunque dovuto necessariamente trasformare per restare sul mercato e fare proprie le sfide offerte dalla trasformazione digitale e dalle nuove tecnologie. Ne è un esempio concreto quanto accaduto al settore meccanico, nel quale si è passati dalla produzione di grandi macchine alla cosiddetta “meccatronica” ovvero alla combinazione di meccanica, elettronica ed informatica nella direzione della robotica e dell’intelligenza artificiale. Certo la trasformazione non è sempre facile, il contesto generale non sempre aiuta e, in molti casi, occorre anche un cambio di mentalità, un’apertura al cambiamento, un nuovo atteggiamento culturale. Se guardiamo al settore calzaturiero, ad esempio, possiamo cogliere bene il segno di questa necessità di rinnovamento, anche culturale, che si è resa necessaria. Nel parabiaghese, storica area di produzione della calzatura, la metà delle realtà produttive è scomparsa e la gran parte di quelle rimaste, divenute più grandi per dimensioni, ha messo da parte il proprio marchio e la propria rete di vendita (in qualche modo la propria identità) per trasformarsi in subfornitori, concentrando quindi il proprio know-how sulla razionalizzazione e flessibilità della produzione e lasciando la commercializzazione a realtà imprenditoriali e brand ben più forti e capaci. Perché oggi un buon prodotto non basta più: per stare sul mercato occorrono altre e specifiche competenze: marketing, organizzazione, finanza, nonché capacità e competenze manageriale che è difficile trovare nelle piccole realtà produttive. Chi fa battaglie di retroguardia oggi è destinato a uscire dal gioco. È normale che in ogni contesto produttivo permanga sempre una frangia di imprese ancorate al passato, poco disposte al rinnovamento e che rischiano di scomparire, ma quel che mi sento tranquillamente di poter dire è che nel nostro territorio abbiamo un tessuto industriale sano, che il sistema produttivo è complessivamente avanzato e che, in specifici settori, abbiamo punte di eccellenza assolute: realtà industriali che non solo hanno superato la crisi di trasformazione dell’industria tradizionale, ma hanno saputo posizionarsi sul mercato internazionale e farsi accreditare per il know-how, il valore e l’assoluta eccellenza delle loro produzioni: veri gioielli di innovazione, tecnologia e imprenditorialità avanzata. Cui forse occorrerebbe dare maggiore visibilità, anche al grande pubblico.

 

Ma per fare eccellenza occorre anche competenza. Ed uno dei grandi temi, del quale spesso si sente parlare, è quello della insufficiente preparazione dei giovani che escono dalle nostre istituzioni scolastiche rispetto alle sfide poste dall’industria 4.0. Qual è la vostra opinione in merito? E cosa si potrebbe fare?

Il problema del cosiddetto “mismatch”, ovvero della non corrispondenza tra le reali necessità dell’impresa e la capacità della scuola di farvi fronte, è un tema di grande attualità e di assoluta rilevanza. Da un lato ci sono problemi di ordine culturale che tendono a non fare avvicinare le nuove generazioni (spesso anche per “colpa” dei genitori) alla formazione tecnica: una sorta di immagine negativa che aleggia intorno a tutti gli studi secondari di tipo tecnico professionale. Una percezione del tutto sbagliata, che non corrisponde al profilo delle nuove professioni della nuova industria e che meriterebbe, anche da parte di noi imprenditori, uno sforzo maggiore in termini di comunicazione e informazione per essere sfatato. Dall’altro c’è la “naturale” inadeguatezza del sistema scolastico italiano che, lento nel suo procedere e rinnovarsi, stenta ad adeguarsi alla rapidità del cambiamento ed alle nuove necessità delle imprese. A fronte di questa situazione ci siamo chiesti, come Confindustria Alto Milanese, cosa avremmo potuto fare per venire incontro alle esigenze dei nostri associati e, alla fine, abbiamo considerato che la risposta più efficace, in una logica di medio periodo, sarebbe stata quella di affiancarci al sistema scolastico con una nostra autonoma proposta formativa. Una vera e propria scuola di formazione della Confindustria. Che non fosse però alternativa alle istituzioni scolastiche locali, ma con queste, in qualche modo, si integrasse. Una sorta di struttura di collegamento tra l’istruzione tradizionale ed il mondo delle imprese. Quello che abbiamo in mente è di edificare una vera e propria struttura scolastica (è importante che questa abbia una sua fisicità riconoscibile e attraente anche dal punto di vista dell’immagine e della sua rappresentazione) nella quale, attraverso l’approfondimento di specifiche discipline e l’impiego pratico di macchinari d’avanguardia gestiti direttamente da noi, i giovani possano acquisire, in aggiunta alle conoscenze di base offerte dall’istruzione pubblica, quelle competenze tecnico-professionali che sono maggiormente richieste dalle imprese del nostro territorio. Con particolare riferimento, in una fase iniziale, alle medie e piccole aziende della meccatronica, che costituiscono nell’Alto Milanese uno dei segmenti industriali più significativi ed importanti. È un progetto molto ambizioso ma al tempo stesso molto concreto. Un progetto impegnativo anche sul piano finanziario. Si stima assorbirà gran parte delle riserve finanziarie accantonate dall’associazione negli ultimi 75 anni, ma sostenuto a gran voce da tutta la base associativa ed apprezzato e condiviso anche dalle strutture scolastiche del territorio.

 

A che punto siete del progetto?

Abbiamo superato la prima fase, quella di definizione delle linee guida, di valutazione della fattibilità, di stima dei costi e dei tempi. A breve dovremmo entrare nella fase di vera e propria pianificazione delle attività ovvero di progetto esecutivo. Al momento, stiamo valutando alcune possibilità su dove realizzare fisicamente la scuola. Cosa non semplice, in quanto alla nostra decisione di restare il più possibile nelle zone centrali della città si contrappone la limitata disponibilità di aree a questo scopo utilizzabili. Quel che è certo è che servirà, comunque, molta collaborazione da parte della pubblica amministrazione: per far fronte e superare i vincoli burocratici, sostenere l’iniziativa ed accelerare i tempi di realizzazione. La nostra speranza e il nostro auspicio è di iniziare i lavori a giugno 2021 ed aprire al scuola ai primi corsi nel settembre dell’anno dopo! Sembra un sogno ma non è impossibile.

 

A proposito della cooperazione con la pubblica amministrazione, un tema centrale sembra essere quello del coinvolgimento, nei progetti di sviluppo, di tutti i comuni del territorio omogeneo dell’Alto Milanese, sotto la regia di una sorta di governo sovra-comunale. Qual è la sua opinione in merito?    

Il tema di una concreta coesione e di un governo unico dei comuni del nostro territorio è stata una mia convinzione da sempre, sin dai tempi dei miei studi di architettura all’università, ed oggi come oggi sono ancor più convinto che questa sia la strada giusta da percorrere. Il nostro territorio ha una relativa scarsità di aree a vocazione industriale, le infrastrutture costituiscono un asset o un limite fondamentale per sostenere o frenare l’attività produttiva; e la programmazione urbanistica non può interessare solo un singolo comune o un singolo micro territorio, col rischio poi di porsi in antagonismo od essere inconsistente rispetto a quella di aree limitrofe o a progettualità di più ampio e allargato respiro. L’imprenditoria, oggi, ha bisogno di regole certe, il più possibile uniformi tra comuni e comuni, e di politiche coerenti e condivise nella gestione dei progetti di sviluppo e di localizzazione industriale, che vadano al di là della visione individualista del singolo comune e che consentano flessibilità nelle scelte e siano in grado di supportare le imprese e l’economia del territorio nel suo complesso. Alcune municipalità hanno cominciato a percorrere questa strada uniformando, ad esempio, alcune tasse locali, ma molto altro e di ben più grande impatto c’è ancora da fare. Personalmente, io credo che cominciare finalmente a ragionare in una logica sovra comunale e a considerare il territorio dell’Alto Milanese come un territorio omogeneo da amministrare univocamente e con politiche comuni e coerenti sarebbe un acceleratore formidabile all’economia generale della nostra area.

 

Alla luce del quadro generale che ci ha rappresentato, e considerando che tra qualche mese, dopo le elezioni, si insedierà a Legnano una nuova giunta e avremo un nuovo sindaco, la vostra organizzazione che cosa si sentirebbe di chiedere all’amministrazione che verrà?

La mia personale opinione è che oggi agli amministratori, di qualsiasi colore essi siano, debba essere chiesto prima di tutto di essere persone di buonsenso. Sembra banale ma non lo è: in un comune di medie dimensioni, oggi, cogliere le differenze tra quella che potrebbe essere una politica di sinistra ed una politica di destra mi sembra francamente difficile; quello che occorre è capacità di ascolto, disponibilità alla comprensione dei problemi e, ancora una volta, buonsenso. Che significa volontà di dialogo e cooperazione per trovare, con senso pratico e buona volontà, le giuste soluzione per il bene di tutti. E poi chiederei coraggio e determinazione: per andare contro l’abitudine, ormai diffusa tra molti funzionari e amministratori, di interpretare le norme in modo solo restrittivo e giustificare così un loro connaturato immobilismo; per superare il blocco culturale di chi ha paura di sbagliare e di trovarsi in difficoltà, finendo quindi per reiterare comportamenti consuetudinari, non aprirsi al nuovo e bloccare ogni tentativo di innovazione. Io non penso che un politico possa avere una visione imprenditoriale, perché la politica ha le sue peculiarità che occorre considerare e rispettare; al tempo stesso credo però che la politica immobilista, la politica di chi non vuole sbagliare, di chi ha paura, o peggio di chi è interessato solo a mantenere il potere, siano freni inaccettabili allo sviluppo.

 

Quindi, in poche parole?

Chiederei buonsenso, flessibilità e coraggio nell’assumersi le proprie responsabilità. Chi si assume l’onere e l’onore di amministrare una città come Legnano non può restare alla finestra: deve prendersi la responsabilità di fare accadere le cose. E di supportare quei progetti e quelle iniziative che possono aiutare la città a crescere e a generare benessere per i propri cittadini. Se penso al nostro progetto di scuola, ad esempio, quello che mi aspetterei dalla nuova amministrazione non è di sopportare costi o partecipare agli investimenti, né di offrire particolari agevolazioni contributive, ma solo di essere veloci, di non perdersi nella burocrazia, di aiutarci a trovare la giusta soluzione nei giusti tempi, di non creare ostacoli e, se del caso, di aiutarci a superarli. Insomma chiederei una vera partnership, basata, ancora una volta, sulla combinazione virtuosa di buonsenso, flessibilità e responsabilità. Noi crediamo nelle potenzialità di questo territorio e siamo decisi a renderci parte attiva per quanto ci compete. Ora serve la collaborazione di chi ci amministra.

 

Alberto Centinaio
Alberto Garbarino

 

(L’intervista è stata realizzata nel febbraio scorso, alla vigilia dell’emergenza-coronavirus)