Quello che i numeri suggeriscono alla politica

Il voto per rinnovare Camera, Senato e Regione Lombardia parla di un indubbio successo del Movimento 5 Stelle e, nel centrodestra, di un’avanzata della Lega, che sopravanza Forza Italia. Il Pd esce sconfitto a livello nazionale. Ma una paziente rilettura dei dati legnanesi mostra anche altre dinamiche e persino qualche sorpresa. Comunque ora il paese ha bisogno di un governo serio

Il giorno dopo le elezioni del 4 marzo è partita la corsa al titolo più roboante: fine della seconda Repubblica; fine dei partiti; fine di un’era. Tutti presi a commentare uno smottamento andando alla ricerca di un capro espiatorio, tendenzialmente Renzi e il Partito democratico… Perché è sempre facile prendersi una rivincita sulle persone (impressionante vedere le facce tronfie e sentire i toni sprezzanti di alcuni giornalisti in passato costretti a subire le risposte dure o ironiche dello stesso Renzi) e comodo proporre facili spiegazioni che stanno dentro un bel titolo o un breve post, per acchiappare più click e più “like”.

Torna la prima Repubblica?

Si tratta ora, da parte dei commentatori (e magari degli stessi elettori), di porre altrettanta passione e impegno nell’approfondire come e a quali condizioni le forze parlamentari potranno giungere a delle mediazioni politiche e programmatiche, e come il Presidente Mattarella possa trovare la quadra per la formazione di un governo.
Perché una cosa è certa: se davvero è finita la seconda Repubblica, la legge elettorale al ribasso che i partiti in campo hanno generato con i loro assurdi veti incrociati, ci sta riportando di corsa alla prima Repubblica, almeno per un paio di aspetti. Primo: per formare un governo la tanto disprezzata mediazione politica sta ritornando in auge (e con essa il lavoro di mediatori, tessitori, facilitatori… e compagnie cantanti); secondo: nella democrazia dei leader, si sta profilando seriamente la necessità di trovare una guida che non sia nessuno dei “leader” che hanno condotto la campagna elettorale. E così, passato Gentiloni, potremmo trovarci al secondo governo dopo vent’anni presieduto nuovamente da un “primo ministro” e non più da un “premier”… proprio come ai vecchi tempi!

Chi sale e chi scende

Ma cosa ci dice il nostro osservatorio legnanese rispetto ai movimenti in atto? Si tratta davvero di sconvolgimento o le ultime elezioni hanno visto “solo” un rafforzamento di trend già in atto? Per vedere cosa sia cambiato, ragioniamo per una volta sui numeri assoluti e non sulle percentuali. Per semplificare al massimo il ragionamento abbiamo accorpato tutti voti in tre raggruppamenti –centrosinistra, centrodestra e 5 stelle – e abbiamo calcolato le variazioni tra gli esiti del voto 2013-2018 per la Camera dei Deputati e per la Regione.
Il quadro che emerge non è quello di una travolgente crescita dello schieramento di destra e dei pentastellati (in crescita ma con moderazione, soprattutto i secondi), quanto di una contrazione significativa dei voti accordati alle liste di centrosinistra. Fa inoltre riflettere che alla Camera vi siano stati circa 2.000 voti validi in meno, a fronte di quasi 2.300 in meno allo schieramento di centrosinistra. Come a dire che – forse – la maggior parte dei voti persi da Pd e “compagni” di viaggio dovrebbero essere cercati tra quanti negli ultimi 5 anni han deciso di non votare, prima ancora che in quanti (circa un migliaio) si sono spostati su liste di centrodestra o verso i 5 stelle.

Cosa dicono i numeri

Passando invece ad analizzare le variazioni dei principali partiti, si osserva come anche a Legnano – seguendo il trend del nord Italia – il vero partito vincitore sia la Lega (cresciuta di oltre 4.600 voti); sostanzialmente inchiodato ai risultati di 5 anni fa, invece, il M5S. Il partito che esce decisamente sconfitto dal turno elettorale è Forza Italia, che perde oltre 2.900 voti alla Camera. Anche il Pd (quasi -1.700 preferenze) subisce un duro colpo, ma per questo partito, a livello legnanese, serve osservare un altro dato piuttosto sorprendente: confrontando il risultato delle regionali con quello delle amministrative dello scorso giugno, il Pd di Legnano infatti mantiene il proprio elettorato (addirittura cresce di 450 voti), a differenza di quanto accaduto in molti altri comuni lombardi dove si è votato l’anno scorso per i sindaci. Se poi effettuassimo il confronto tra votazione per la camera 2018 (7.000 voti) e per le amministrative 2017 (5.213), la crescita del Pd sembrerebbe ancora più significativa (circa 1.800 preferenze). Questo dato indica il peso in città del civismo che si richiama a valori propri del centrosinistra e che, quando non trova espressioni vicine sulla scheda (alle regionali, per esempio, la lista civica di Gori), confluisce sul Partito democratico.

Quel malessere profondo…

Proprio il confronto tra le comunali del giugno scorso e le regionali del 4 marzo, fa emergere come i partiti principali abbiano nel loro complesso intercettato oltre 10.400 voti in più. Di questi – oltre a quanto già detto sul Pd – più di un terzo (+3.700) sono andati al M5S e pochi di più alla Lega (+3.800). Anche in questi casi la crescita è spiegata in larga misura dalla crescita dell’affluenza: infatti rispetto alle comunali quasi 10mila cittadini in più si sono presentati ai seggi.
Che gli elettori nel nostro paese rispondano maggiormente quando si giocano partite politiche nazionali anziché locali è noto; che lo facciano per mandare segnali forti di rabbia e voglia di cambiamento “ai massimi sistemi” è evidente ormai da qualche anno. In questa tornata tuttavia sembra proprio che si sia realizzato quello che in un saggio dello scorso anno (“Age of anger”; trad. it. “L’età della rabbia. Una storia del presente”) lo scrittore Pankaj Mishra analizzava: un rimescolamento di persone, voti ed equilibri democratici dettato da un malessere profondo di larghe parti della popolazione.

Risentimento, autoritarismo

Così, persone con un passato molto diverso si ritrovano guidate dal capitalismo e dalla tecnologia in un presente comune in cui distribuzioni grossolanamente ineguali di ricchezza e potere hanno creato nuove umilianti gerarchie sociali. Questa vicinanza, o quella che Hannah Arendt chiamava “solidarietà negativa”, è «resa più claustrofobica dalla comunicazione digitale, l’accresciuta capacità di confronto invidioso e risentito, e la ricerca comune, e quindi compromessa, di distinzione individuale e di affermazione della propria singolarità. Allo stesso tempo, le devastanti contraddizioni di un sistema economico dinamico, che si manifestarono per la prima volta nell’Europa del XIX secolo, si rivelano universalmente. […] Molti di questi shock della modernità un tempo erano assorbiti dalle strutture sociali ereditate della famiglia e della comunità e dagli ammortizzatori del welfare state. Gli individui di oggi sono direttamente esposti a questi “shock”, in un’epoca di competizione accelerata su un campo di gioco impari, dove è facile sentire che non esiste più una cosa come “società” o “stato” e che c’è solo una guerra di tutti contro tutti».
Il risultato, come la Arendt temeva, è «un enorme aumento dell’odio reciproco e una irritabilità un po’ universale di tutti contro tutti gli altri”, o ressentiment. Un risentimento esistenziale verso gli altri essere umani, causato da un intenso mix di invidia e senso di umiliazione e impotenza, che mentre si distende e si approfondisce, avvelena la società civile e mina la libertà politica, e che sta attualmente generando una svolta globale verso l’autoritarismo e forme tossiche di fanatismo».

Governare, cambiare…

Speriamo che questo risentimento, usato dai vincitori di questa tornata elettorale per chiamare a raccolta i cittadini, si trasformi e sia assunto ora responsabilmente per governare il paese cercando soluzioni positive e distensive. Cavalcarlo ancora rischia di essere troppo pericoloso: un veleno che intossica può scappare di mano e diventare veleno che uccide.
Ugualmente speriamo che chi è uscito da queste elezioni sconfitto ascolti tale risentimento per scendere di nuovo in strada tra la gente, camminando con la gente; per trovare nuove parole, speranze e visioni, per ricominciare a scaldare i cuori e dare risposte credibili a quanti si sentono schiacciati in “nuove umilianti gerarchie” per gli effetti della crisi e della globalizzazione.

Lorenzo Radice